“Il cammino universale” di Angel
Leòn Ibarra
“Il cammino” oltre che
propriamente il titolo di un suo dipinto è simbolo di questa esposizione, è il
cammino personale di Angel Leòn Ibarra, artista peruviano, nato a Lima nel ‘70
e trasferitosi in Italia all’età di trentatré anni; il cammino è, allo stesso
tempo, il tragitto proprio di ogni essere umano che si spinge lungo la linea
della vita, attraversando il percorso della crescita sino alla imperscrutabile
fine… rappresenta altresì i cammini dei molti che valicando i confini e
integrandosi in altre società sono diventati cittadini del mondo grazie alla
globalizzazione dei nostri giorni. Il cammino appartiene anche a chi, in
verità, non si è mai mosso, ma che ha visto mutare, volente o nolente, tutto
intorno a sé, come se il concetto stesso di confine, di straniero pian piano si
stesse dileguando.
Con l’expo a Milano attualmente
in corso, l’esposizione universale, piccolo viaggio attorno al mondo dove si
possono conoscere da vicino ben 146 paesi, il punto di vista di Leòn e delle
sue rappresentazioni pittoriche appaiono ancora più straordinariamente nitide e
dai tratti odierni.
Seguendo i suoi passi, di dipinto
in dipinto, si osserva il suo particolare itinerario che al di là della sua
determinata esperienza è specchio di un universale andirivieni, comune ad ogni
uomo coevo. Così disponendo le sue tele una accanto all’altra, oltre a scoprire
in particolare la storia di un popolo lontano, con le sue sofferenze, le sue
speranze, le sue gioie, tra colori del reale che non ingannano chi osserva, nel
folclore di costumi e capigliature tipiche della gente che lo corrisponde, si
fronteggia l’argomento del contemporaneo. Soffermandosi spesso sulla figura
femminile, il sesso debole, Leòn dipinge e racconta la loro storia, tra colori
da una parte variopinti o dall’altra estremamente oscuri. Un passo dopo l’altro
lo trasporta in pittura, come nella vita, ad esplorare nuovi territori, nuove
emozioni, addentrandosi negli spazi dell’interiorità dell’animo, in dimensioni
avvolte da solitudine quando se ne sente l’esigenza, cupe come in “La bella
addormentata” dove un deserto nero impera simboleggiando la morte, il
cambiamento, la trasformazione che la sottintende. L’andare avanti, d’altronde,
in Leòn significa crescere, mutazione di coscienza, apertura dello sguardo
interiore, chiarezza nell’osservare ciò che ci circonda. La sofferenza, la
solitudine non sono che momenti in cui ci si apre alla comprensione dell’
universo, per poter camminare nuovamente ma con un passo più forte e sicuro.
La morte è un tema ricorrente e
determinante nelle sue opere. In linea con ciò che pensava Dilthey. «Il rapporto
che caratterizza in modo più profondo e generale il senso del nostro essere –
afferma il filosofo - è quello della
vita con la morte, perché la limitazione della nostra esistenza mediante la
morte è decisiva per la comprensione e la valutazione della vita». In sintesi
la morte può essere considerata una limitazione dell’esistenza, non già poiché
equivalga al suo termine ma in quanto ne costituisce una condizione che
accompagna tutti i momenti della vita.
D’altra parte lo spirito
pittorico di Angel Leòn Ibarra è un andare avanti e un guardarsi indietro per
confrontare, per rapportare. Così come ha dipinto la sua gente arrivato in
Europa, per non dimenticare e così come ne ha rappresentato la differenza,
segnando i tratti del nuovo vivere, della nuova moltitudine che ora popola la
sua quotidianità, Lèon comunica la verità che sente: un salto dall’esterno
all’interno, dal mondo reale all’onirico, all’esistenziale. Leòn usa dipingere
spesso la sua gente mentre lavora perché il quotidiano si trascorre così: “Raccoglitrice
di patate”, “Lavoro”, “Mercatino” rappresentano la vita di tutti i giorni
trascorsa nella suo paese d’origine: lavorano la terra e sorridono alla vita,
quasi come se esorcizzassero le preoccupazioni, le paure nobilitandosi con
l’operatività. Completamente contrapposto è il suo delineare il passaggio verso
l’occidente. «Credevo
che le donne qui fossero più felici, invece ho sentito dentro di loro molta più
sofferenza rispetto alle donne native della mia terra, - rivela l’artista
- perché gli uomini qui sono più
egoisti.
Spesso dipingo le donne che danno
le spalle al visitatore, mentre guardano una luce brillante che si addensa
sulla sommità della tela, perche la sensibilità femminile offesa va rispettata».
In particolare, Leòn tramite il
suo gesto pittorico, a volte espressionista altre volte surrealista, ci mostra
attraverso simbologie tratte della cultura Inca, sia le luci e i colori del
Perù che i solitari e intimi paesaggi d’animo d’oggi. Il sole chiaro e
scintillante, a volte disegnato come una semplice luce che delinea una via di
salvezza, altre volte circondato da un cerchio nero, metafora di fine, come in
“Il passaggio del sole”, non è che la divinità prima che nella mitologia Inca
regna sovrana. “Wiraqucha”, allo stesso tempo, è divinità creatrice anche
della luna e degli astri. Così in “Chiaro di luna”, Leòn pone la luna come
protagonista del cielo, a fianco di una scala, dando la possibilità a chiunque
lo desideri di raggiungerla.
Il Perù è stato la culla della civiltà Inca,
uno dei maggiori popoli nativi americani e per questo ha lasciato
un’indelebile segno sull’immaginario simbolico collettivo.
Il cammino degli esseri umani è
sopra ogni dubbio universale, pur nelle differenze che contraddistinguono le
varie popolazioni presenti sul globo terrestre. Prendendo in considerazione lo
sviluppo di un popolo qualunque e, in particolare, il passaggio dalla
preistoria alla storia, si nota come ciò che condusse alla rivoluzione definita
neolitica fu proprio l’agricoltura e le sue conseguenze a livello tecnologico e
sociale. Nel momento in cui si scoprì l’agricoltura, i popoli della terra
iniziarono a lasciare testimonianze scritte, nacque il linguaggio, le tracce
della propria esistenza; all’inizio questo accadde per controllare e
immagazzinare la produzione: dalla mezzaluna fertile all’Egitto fino alle
regioni europee e alla Cina. Ciò è avvenuto anche nelle regioni americane dove
son sorte le civiltà mesoamericane e andine ma con una differenza di base che
avvalora la tesi del cammino universale dell’uomo: il loro sviluppo avvenne in
completa autonomia rispetto al resto dell’umanità. Infatti a tutte fu precluso
qualsiasi contatto con il resto del consorzio umano. Mentre tutte le civiltà
indoeuropee, per quanto lontane, erano tutte geograficamente collegate e quindi
avevano la possibilità di scambiarsi conoscenze le une con le altre, le civiltà
americane erano state tagliate fuori a causa della chiusura del passaggio
attraverso lo stretto di Bering avvenuto al termine della glaciazione, circa
10.000 anni fa.