Sulla Fotografia è una collettiva, il viaggio di tre
artisti nella fotografia: Subimal,
Johnny Pixel e Esther Sadré. Dal
28 maggio 2019 al 2 Giugno 2019, allo Studio Mitti (Alzaia Naviglio Grande 4).
L’occhio dell’invisibile
Le rivelazioni
fotografiche di Subimal
Gli scatti in bianco e nero di Alfredo De Joannon in arte Subimal (Milano, ’66) conducono lo
sguardo del visitatore lungo le strade delle città, da una parte puntando
l’obiettivo su soggetti architettonici ben precisi, dall’altra divenendo
specchio del rituale passaggio del quotidiano in veste di street
photography.
Una selezione
d’immagini della sua retrospettiva per riuscire a carpire la meta a cui mira
questo artista lombardo che, ispirandosi alle città invisibili di Calvino, da
voce alle rappresentazioni in potenza mettendo in atto ciò che la realtà
desidera rendere manifesto. Il fotografo come del resto sosteneva lo statunitense Ansel Easton Adams, diviene cacciatore
d’immagini, strumento, che solo nel momento dello sviluppo sa farsi creatore,
costruendo una poetica.
A
differenza di autori come Henri Cartier-Bresson per il quale
“Le
fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”, e di quelli
come André Kertész che utilizzano lo still-life per
sospendere il tempo, Subimal concepisce questa forma d’arte come estensione di una disciplina spirituale
che pratica, come contemplazione, rivelazione di una intuizione anteriore allo
scatto. A tal proposito Subimal ricorda
le parole di Sri Chinmoy,
suo Maestro di meditazione riguardo l’arte fotografica: «La realtà interiore può essere visibile sul volto della realtà
esteriore. La profondità interiore può essere sentita da un cuore umano. Ogni
foto se scattata da un elevato piano di coscienza, rivela una nuova speranza,
una nuova aspirazione e una nuova realizzazione, che la Madre Terra custodirà e
tesoreggerà».
Astrazioni
urbane di Johnny Pixel
Le
“Astrazioni urbane” nascono di notte sotto la pioggia, mentre la vivacità della
città tra luci, riflessi e suoni non smette mai di prendere corpo: da
Melchiorre Gioia a San Babila, dalla Triennale a Piazza Gae Aulenti, passando
per Centrale e Garibaldi…
Queste
opere fotografiche sono il risultato delle passeggiate solitarie di Johnny Pixel (Milano, 1976), fotografo e artista, mentre si
avventura all’interno del territorio milanese, tra le sue strade e i suoi
angoli, tra palazzi e fontane, scorci e vedute: un modo nuovo di conoscere la
realtà poiché nonostante essa sia fonte d’ispirazione e parte dell’opera
stessa, è nello stesso tempo trascesa e rifuggita.
Come
farebbe un pittore astrattista, Johnny Pixel prende spunto da un’impressione o
un’emozione suscitata dagli oggetti del reale per comporre le sue immagini, ma
essendo un fotografo si serve proprio del vero per poi disgregare parte del
visivo, creando un miscuglio di verità e sogno, attraverso l’astrazione;
quest’ultima per lui è un modo per rappresentare l’interpretazione interiore di
ciò che appare agli occhi.
Lavorando
con la macchina fotografica sul campo di ricerca ed interagendo con la sua
energia creativa dà vita ad altre forme e colorazioni così da allargare la
conoscenza del mondo stesso, valorizzando le capacità intuitive e fantastiche
dell’uomo: l’uomo che crea e l’uomo che osserva, poiché nell’osservazione
nasceranno ex novo emozioni e sensazioni, differenti da quelle pensate
dall’ideatore dell’oggetto immaginato. Così come scriveva Licini nel 1935
riflettendo sull’astrattismo, “Dimostreremo che la geometria può diventare
sentimento”, con Johnny Pixel le architetture della città vestite dalle sue
atmosfere surreali comunicano con l’io interiore.
«Quello che amo della fotografia è la
possibilità, tramite essa, di poter mostrare al mondo scorci di se stesso colti
da un personale punto di vista – racconta Johnny Pixel - ed anche, poter
trasmettere ad una persona uno stato quasi inconscio di visione.»
Fotografare
la città da prospettive particolari, rendendo macro ciò che è vicino,
falsificando la visione di ciò che si proietta sullo sfondo è come ergere un
ponte tra l’infinito e il finito, tra realtà e misticismo, tanto da sentirsi
leggeri e liberi come una foglia al vento che non cessa di esistere nemmeno se
strappata da un ramo.
L’album fotografico di Esther Sadré
Osservando
le opere Pop di Esther Sadré,
(Modena, ’48) si vivrà un ritorno all’infanzia, oltre che l’amore al femminile
in tutte le sue vesti. Collage realizzati con piccoli cammei e pietre, stoffe e
lingue di pizzo, scampoli di tessuto ritagliati e incollati su tela, mentre
immagini di donne, vere e proprie icone di bellezza, sono adagiate sulla tela a
figurazione di un eterno presente.
Produzioni
artistiche colte che s’ispirano alla storia dell’arte, a film e libri di
cultura generale fanno comparire personaggi come la famosa ragazza con l'orecchino
di perla di Vermeer che a sua volta ha ispirato la scrittrice Tracy Chevalier nel suo romanzo omonimo … e poi
Frida Kahlo, Marilyn Monroe e volti cinematografici come quello
della Cavalieri, preziosa musa di
Fornasetti. Del periodo vittoriano Esther coglie lo sguardo di dolcezza, la
semplicità e l’abbandono tacito alla vita dei bambini del tempo, che come anche
descrive Charles Dickens
nei suoi scritti, vivono in un limbo
di fragilità, dove la povertà e la trascuratezza rende tutto alquanto
difficile.
Nel loro insieme i quadretti messi a punto da questa artista
modenese prendono le sembianze di un album fotografico dove ogni singola
immagine è delineata da una cornice in cui appaiono simboli di tenerezza e
rosee apparizioni.
Inaugurazione 28 maggio
2019
Dalle 18.30
Fino al 2 giugno 2019
A cura di Valentina Cavera
Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4,
Milano
Orari: dalle 15.30 alle
20.00