mercoledì 31 luglio 2019

Trame di vita in una collettiva a due piani


Dal 10 al 22 settembre all’interno della Casa delle Artiste avrà luogo l’esposizione “Trame di vita in una collettiva a due piani”, a cura di Valentina Cavera, durante la quale Rosachiara Carletto, Germano Casone, Patrizia Silingardi, Marina Pozzi, Loredana Caretti, Amos Loffreda proporranno il loro lavoro.
Proprio come se realmente ognuno di questi artisti vi abitasse dentro, si svilupperà una relazione degli uni con gli altri, mentre le loro opere racconteranno le loro storie espresse attraverso l’arte pittorica o scultorea nel caso di Germano Casone.  




Germano Casone [Villa Biscossi (PV), ‘47] attraverso le sue sculture di creta è come se desse voce ai bambini di tutto il mondo, partendo innanzi tutto dal bambino dentro di sé. Di cosa hanno bisogno i bambini d’oggi per crescere e diventare adulti in modo corretto? Come è fatto il loro presente? E un ipotetico paese dei bambini potrebbe esistere? I suoi bambini sono immersi nel sapere, cavalcano la fantasia su uno spicchio di luna, si affacciano dalle finestre di un borgo dove vige la semplicità.
A lavoro concluso, Casone si sofferma molto sulla ricerca del titolo più appropriato, poiché in esso si svela il legame con la realtà, ovvero il concetto che cerca di esprimere nell’atto creativo, la sua filosofia di vita che traspare dalle sue opere scultoree. Lavora molto sulla natura dei bambini, sui loro passi verso il futuro. «Il futuro è loro. Gliel’abbiamo rovinato molto però noi grandi, anche se gli abbiamo dato una vita agiata – racconta Casone - è il sistema che va ricostruito per poter gioire di questa vita. L’istruzione, la cultura sono necessari. Oggi possediamo i computer ma pur essendo un grande salto evolutivo, ci si è allontanati dalla lettura. In primis i più giovani.» ”Un bimbo che legge sarà un adulto che pensa” è un lavoro che vede protagonista un bambino intento nella lettura, in cima a dei libri impilati gli uni sugli altri, mentre un adulto lo osserva con sguardo pensoso. In “La cultura va sostenuta con forza” si legge la precarietà d’essa, in quel gesto disperato di un uomo dinanzi ad una torre di testi sovrapposti che rischia di cadere, mentre alla sua sommità un bambino è preso dal suo libro. “Compagni di scuola” vede alcuni studenti sfogliare un medesimo gigantesco libro, un inno all’istruzione.
 
Il fascino derivato di Amos Loffreda 


Le immagini femminili di Amos Loffreda (Chioggia,’62) sono una ricerca pittorica che mira alla rappresentazione della personalità del soggetto. Nel corso della sua carriera ha sperimentato la riproduzione di nature morte, ha interpretato la realtà in forma di astrazione ma la sua ricerca poi si è soffermata sul ritratto. D’altra parte Amos nasce come fotografo, quindi ha sempre lavorato con l’immagine. Successivamente, il passaggio alla pittura è stato determinato da alcune produzioni che coinvolgevano la pittura su elementi fotografici, finché l’elaborazione dei soli colori sulla tela è diventato una realtà costante.
Il pavoneggiare delle sue donne, attraverso le chiome o gli abiti multicolori, emana tutto il fascino femminile. Non è un imitare la bellezza ma i soggetti che spesso cerca su internet sono persone che gli provocano un’emozione, da cui estrapolare l’essenza che le contraddistingue. Gli studi portati avanti a Venezia e gli approfondimenti sul disegno dal vero dinanzi alle modelle hanno influenzato la sua creatività e si sono concretizzati nei disegni che propone nel contemporaneo. Il gioco di colori che si condensa in piccoli interventi riprodotti ripetutamente attorno ai volti delle donne sono il suo modo di divagare nei percorsi dell’arte, per rendere le sue opere esclusive. «Ho approfondito il discorso sul mosaico e l’ho voluto riportare sui quadri attraverso parti di carte colorate selezionate e recuperate in una stamperia a Bassano. Successivamente aggiunta una resina particolare, abbino questa tecnica al disegno vero e proprio realizzato con olio su tela.» In un suo dipinto spicca una donna con in mano un piccolo volatile, esso s’intitola “Zeus che seduce Era”, rappresenta quindi un’immagine mitologica. La leggenda vuole che Zeus nel momento in cui entrò al potere, era deciso a prendere moglie. Essendo Era, sua sorella, di venerabile bellezza pensò a lei. Purtroppo la Dea era inavvicinabile, sempre controllata dalle serve; così dovette attendere il momento giusto. Il giorno che la vide entrare nel bosco si tramutò in un uccellino e quando lei lo raccolse dal terreno, lui si rivelò nelle sembianze di un baldo giovane, come in effetti era, e così anche ella se ne innamorò. “A Prisca” è un’opera che vede per protagonista una bambina nota nel suo paese che morì in tenera età. Lui la raffigura mentre insegue un cardellino, perché quell’uccellino nell’antichità era simbolo del trapasso dell’anima.
Amos Loffreda è molto legato alla sua terra, per questo dipinge anche su un legno spiaggiato che raccoglie attorno all’isola su cui abita.




L’universo temporale di Rosachiara Carletto [Lonigo (VC) ‘56] si esprime attraverso i colori e la prospettiva con cui è costruita l’immagine del paesaggio. Il presente, il passato e il futuro sono impronta di cromatismi sensibili. Grazie all’uso della spatola i suoi oli su tela nascondono il dettaglio per guidare lo sguardo verso l’oggetto rappresentato affinché l’emozione, nell’impatto visivo, sia preponderante. I colori, l’armonia tra essi, il loro elaborarsi strutturalmente, in Rosachiara, sono come sogni ad occhi aperti. «A volte quando sogni vedi delle cose poco definite, intravedi qualcosa ma non si capisce cos’è – racconta Rosachiara - la mia ricerca mira a quel qualcosa di soffuso.»
Le tematiche che affronta nei suoi dipinti ruotano attorno a elementi fissi da cui si originano versioni differenti di un argomento. Uno di essi è l’atmosfera o l’estate che vengono personificati sempre da un soggetto paesaggistico. Spesso è un paesaggio solitario dove sorgono isole, tra virgolette, in cui rifugiarsi, come nel caso di “isolotti come smeraldo”, “le atmosfere”, “la luna bussò”; altre volte quando sembra che l’artista ingrandisca il soggetto paesaggistico come con una lente di ingrandimento, le tonalità danno il senso di un’emozione più concreata, quasi tangibile. La realtà del particolare infatti rappresentata nell’”Estate” sembra quasi esserci vicina, nel presente. I suoi lavori si intrecciano con la temporalità dell’essere umano: quando coglie il soggetto da lontano dà un’impronta al tempo nel suo perdersi tra i giorni del quotidiano in vista di un futuro sperato, quando lo svela da vicino ci fa toccare il presente, frutto, nel suo caso, di un passato felice. «I soggetti che io dipingo passano sicuramente attraverso il mio vissuto, la natura in genere mi ha sempre affascinato. Ho sempre vissuto in paesini di campagna dove lo sguardo si perde nel verde, dove il rumore del vento è come una melodia e dove io spesso mi ritrovo assorta, con gli occhi socchiusi per cogliere le sfumature di uno scorcio e ad ascoltare il silenzio. – ci confida Rosachiara - Le mie marine “Atmosfere” sono nate un po' dalla mia passione per la laguna, per il delta del po', un po’ per la ricerca di qualcosa di infinito».

Le monocromatiche personalità di Marina Pozzi




Marina Pozzi [Limbiate, (Mi) ’60] conduce gli ospiti dinanzi a differenti soggetti che abitano nella sua interiorità, essendo parti di una sua biografia personale, legata a desideri, all’infanzia, all’ inconscio, al suo voler rivoluzionare la società che la circonda. Ogni persona è vestita di colore, in un gioco monocromatico che fa risaltare simbolicamente il proprio carattere. Il colore in Marina Pozzi è emozione, presenza attiva, potere d’essere. Utilizzando vari materiali e numerose tecniche pittoriche realizza questi ritratti. Ognuno di essi si esprime attraverso il colore, il segno, con cui traspare dalla materia e mediante una simbologia di elementi con cui viene presentato dall’artista. “Maternità”, in acrilico su cartoncino blu, raffigura una madre che allatta uno dei suoi due piccoli, entrambi vicini. I tratti dei loro corpi e dei loro visi sono decisi: la purezza del bianco si mescola al blu, ovvero alla profondità della vita. «Ho tracciato la maternità - spiega Marina - quella maternità tanto sognata, un passaggio quasi obbligatorio nella nostra società, che non potrà mai essere una condizione possibile per me a causa di un problema intimo. Un passaggio importante è stato trasferire l’atto creativo dai figli che avrei voluto ai miei dipinti, alla creatività artistica.» Quella bambina con il cappello, di colori scuri in acquerello, rappresenta lei stessa da piccina che nel corso del tempo le è rimasta dentro nonostante la durezza della vita l’abbia costretta a crearsi una spessa corazza e l’abbia schiacciata dal peso delle difficoltà. “La donna con l’orecchino di perla” rappresenta la gentilezza, l’eleganza, quelle qualità che lei possiede e che si aspetta di vedere anche nelle altre sue simili ma che, oggi come oggi, nota invece quanto si siano affievolite vorticosamente per quella pazza corsa di omologazione all’uomo... E poi compare “L’indiano” d’ acrilico rosso, avvolto da una nuvola di una tonalità più intensa, per esaltarne maggiormente la grinta. Una grinta che Marina Pozzi ha e che incarna la sua mascolinità: «L’indiano è la forza del guerriero.»

Il disegno libero di Patrizia Silingardi 


Il segno distintivo di Patrizia Silingardi (Modena, ’59) si concretizza da una parte nelle sue proposte di rappresentazione oggettuale su differenti piani materici, dall’altro nel suo muoversi agilmente tra tecniche artistiche anche distanti tra loro, come la pittura e il ricamo: acquerello giapponese su veline giapponesi oppure su tele di lino antiche, tecniche miste con acquerello giapponese dipinto su pannelli lavorati a scrostature, simili a vecchi muri… acquerello giapponese dipinto su tele con colori per stoffe. La femminilità, la delicatezza, la pulizia del gesto creativo dona alle sue opere, colte nella loro essenzialità, una purezza di significato. Questo suo modo di fare e intendere l’arte la lega sicuramente all’oriente, alla filosofia che caratterizza questo paese lontano: una scoperta avvenuta a posteriori, lungo il suo percorso di ricerca.
Contraria ai gesti ripetitivi, alla monotonia dettata dalla pittura convenzionale, come quella realizzata con l’olio, la tempera su tela o il classico acquerello, ha cominciato ad appassionarsi, una volta conosciuto, all’acquerello giapponese. «Il fatto di non disegnare niente, di andare assolutamente a mano libera, di lasciare che l'acqua e il colore facciano un po' da padroni, anche se in verità è poi sempre l’artista artefice del prodotto finale, mi ha fatto pensare “ecco questa è la mia pittura”.» La libertà totale di essere nella materia, l’armonia tra il pennello e l’oggetto che si nasconde nell’elemento sul quale il colore si adopera, in Patrizia è come uno svelare il già nato! I suoi fiori navigano in colori d’emozione ed al contempo diventano decorazioni attraverso l’ago e il filo, un esercizio di precisione, che diventa quasi una meditazione, dove i pensieri si perdono tra un petalo e l’altro.

Sperimentazioni di Loredana Caretti



Loredana Caretti (Milano, ’50) inizialmente attraversa i sentieri dell’arte per mano di un pittore lombardo, Aldo Sterchele, grazie al quale sperimenta differenti tecniche. Successivamente, interiorizzando il linguaggio di rappresentazione si muove su diversi piani di ricerca: dal paesaggio alle nature morte fino ad arrivare al ritratto, ad ambientazioni abitate. Da una parte, tratta la natura morta con allegria, usando colori che rendono la tavola felice, di buona compagnia, mentre quando sceglie altri tipi di soggetti li capta in atmosfere particolari… silenziose, raccolte, intime, in colori malinconici, slavati o perfino oscuri.
La sua meta è forse cogliere gli individui intenti in dialoghi quasi segreti e nello stesso tempo svelare il rapporto che vive dentro noi stessi, in quell’incessante evoluzione interiore, come nell’opera che raffigura due donne con i capelli neri. Ritraggono rispettivamente il pudore e la vanità ed in realtà sono la stessa persona ma rappresentata in due momenti diversi della crescita.
Osservando i suoi lavori, si respira un’atmosfera di intimità tra persone affini sotto degli ombrelli o all’interno di una sala tra donne…e poi nasce quel paesaggio con i rami spogli: dove tutto sembra spogliato dell’avere fa intravedere l’essere. Nell’apparire di questa nudità paesaggistica s’intravede l’anima del mondo.
Il mare appare vivace, testimone di un trascorso felice. «Ho introdotto nel dipinto una rete vera e propria, me l’ha data un pescatore del mare di Cesenatico. Esce dalla barca disegnata. L’opera l’ho realizzata pensando ai miei due nipoti. Infatti i nomi incisi sulla barca, sono proprio i loro, Marco e Michelle. Noi ci divertiamo nell’acqua. Ho cominciato a colorarla con la tempera e poi con la spatola ho agito sulla tempera e così sono nati dei riflessi che non potevo immaginare. L’ho coperta con la damar e l’ho ripassata infine con i colori ad olio, però quei riflessi nati per caso sono rimasti.»


Esposizione Collettiva
Casa delle artiste
Via Magolfa, 32, 20143 Milano MI
Dal 10 al 22 settembre 2019
Inaugurazione 10 settembre, dalle 18.30
A cura di Valentina Cavera





lunedì 27 maggio 2019

Sulla Fotografia


Sulla Fotografia è una collettiva, il viaggio di tre artisti nella fotografia: Subimal, Johnny Pixel e Esther Sadré. Dal 28 maggio 2019 al 2 Giugno 2019, allo Studio Mitti (Alzaia Naviglio Grande 4).

L’occhio dell’invisibile

Le rivelazioni fotografiche di Subimal


Gli scatti in bianco e nero di Alfredo De Joannon in arte Subimal (Milano, ’66) conducono lo sguardo del visitatore lungo le strade delle città, da una parte puntando l’obiettivo su soggetti architettonici ben precisi, dall’altra divenendo specchio del rituale passaggio del quotidiano in veste di street photography.
Una selezione d’immagini della sua retrospettiva per riuscire a carpire la meta a cui mira questo artista lombardo che, ispirandosi alle città invisibili di Calvino, da voce alle rappresentazioni in potenza mettendo in atto ciò che la realtà desidera rendere manifesto. Il fotografo come del resto sosteneva lo statunitense Ansel Easton Adams, diviene cacciatore d’immagini, strumento, che solo nel momento dello sviluppo sa farsi creatore, costruendo una poetica.
A differenza di autori come Henri Cartier-Bresson per il qualeLe fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”, e di quelli come André Kertész che utilizzano lo still-life per sospendere il tempo, Subimal concepisce questa forma d’arte come estensione di una disciplina spirituale che pratica, come contemplazione, rivelazione di una intuizione anteriore allo scatto. A tal proposito Subimal ricorda le parole di Sri Chinmoy, suo Maestro di meditazione riguardo l’arte fotografica: «La realtà interiore può essere visibile sul volto della realtà esteriore. La profondità interiore può essere sentita da un cuore umano. Ogni foto se scattata da un elevato piano di coscienza, rivela una nuova speranza, una nuova aspirazione e una nuova realizzazione, che la Madre Terra custodirà e tesoreggerà».

Astrazioni urbane di Johnny Pixel 


Le “Astrazioni urbane” nascono di notte sotto la pioggia, mentre la vivacità della città tra luci, riflessi e suoni non smette mai di prendere corpo: da Melchiorre Gioia a San Babila, dalla Triennale a Piazza Gae Aulenti, passando per Centrale e Garibaldi…
Queste opere fotografiche sono il risultato delle passeggiate solitarie di Johnny Pixel  (Milano, 1976), fotografo e artista, mentre si avventura all’interno del territorio milanese, tra le sue strade e i suoi angoli, tra palazzi e fontane, scorci e vedute: un modo nuovo di conoscere la realtà poiché nonostante essa sia fonte d’ispirazione e parte dell’opera stessa, è nello stesso tempo trascesa e rifuggita.
Come farebbe un pittore astrattista, Johnny Pixel prende spunto da un’impressione o un’emozione suscitata dagli oggetti del reale per comporre le sue immagini, ma essendo un fotografo si serve proprio del vero per poi disgregare parte del visivo, creando un miscuglio di verità e sogno, attraverso l’astrazione; quest’ultima per lui è un modo per rappresentare l’interpretazione interiore di ciò che appare agli occhi.
Lavorando con la macchina fotografica sul campo di ricerca ed interagendo con la sua energia creativa dà vita ad altre forme e colorazioni così da allargare la conoscenza del mondo stesso, valorizzando le capacità intuitive e fantastiche dell’uomo: l’uomo che crea e l’uomo che osserva, poiché nell’osservazione nasceranno ex novo emozioni e sensazioni, differenti da quelle pensate dall’ideatore dell’oggetto immaginato. Così come scriveva Licini nel 1935 riflettendo sull’astrattismo, “Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento”, con Johnny Pixel le architetture della città vestite dalle sue atmosfere surreali comunicano con l’io interiore.
«Quello che amo della fotografia è la possibilità, tramite essa, di poter mostrare al mondo scorci di se stesso colti da un personale punto di vista – racconta Johnny Pixel - ed anche, poter trasmettere ad una persona uno stato quasi inconscio di visione.»
Fotografare la città da prospettive particolari, rendendo macro ciò che è vicino, falsificando la visione di ciò che si proietta sullo sfondo è come ergere un ponte tra l’infinito e il finito, tra realtà e misticismo, tanto da sentirsi leggeri e liberi come una foglia al vento che non cessa di esistere nemmeno se strappata da un ramo. 

L’album fotografico di Esther Sadré


Osservando le opere Pop di Esther Sadré, (Modena, ’48) si vivrà un ritorno all’infanzia, oltre che l’amore al femminile in tutte le sue vesti. Collage realizzati con piccoli cammei e pietre, stoffe e lingue di pizzo, scampoli di tessuto ritagliati e incollati su tela, mentre immagini di donne, vere e proprie icone di bellezza, sono adagiate sulla tela a figurazione di un eterno presente.
Produzioni artistiche colte che s’ispirano alla storia dell’arte, a film e libri di cultura generale fanno comparire personaggi come la famosa ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer che a sua volta ha ispirato la scrittrice Tracy Chevalier nel suo romanzo omonimo … e poi Frida Kahlo, Marilyn Monroe e volti cinematografici come quello della Cavalieri, preziosa musa di Fornasetti. Del periodo vittoriano Esther coglie lo sguardo di dolcezza, la semplicità e l’abbandono tacito alla vita dei bambini del tempo, che come anche descrive Charles Dickens nei suoi scritti, vivono in un limbo di fragilità, dove la povertà e la trascuratezza rende tutto alquanto difficile.
Nel loro insieme i quadretti messi a punto da questa artista modenese prendono le sembianze di un album fotografico dove ogni singola immagine è delineata da una cornice in cui appaiono simboli di tenerezza e rosee apparizioni.

Inaugurazione 28 maggio 2019
Dalle 18.30
Fino al 2 giugno 2019
A cura di Valentina Cavera
Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Orari: dalle 15.30 alle 20.00


Il profumo del realismo


Il profumo del realismo si sprigiona in una collettiva che unisce un’iperrealista, Maria Gattu, due della scuola realista, Elisabetta Cocco e Maria Caterina Mariano.

I paesaggi subacquei di Elisabetta Cocco



Elisabetta Cocco (Catania, ’46) è l’artista che dipinge il mare nella sua veridicità, fino a superarla quando cercando di ingrandire alcuni particolari che lo caratterizzano, come fissati con una lente d’ingrandimento, sperimenta l’astratto: ed allora le colorazioni dei sottofondi marini, dell’acqua salata, spumeggiante, le tinte sfarzose dei coralli, quelle verdeggianti delle alghe e di tutto ciò che dimora nel fondo sommergono la forma, giungendo all’essenza. Utilizzando la tecnica a spatola con i colori ad olio nascono dapprima paesaggi colpiti dai riflessi marini e successivamente le visioni subacquee dei fondali. «Sono autodidatta e amo sperimentare nuove tecniche tanto che gli ultimi paesaggi li ho colorati con le dita senza utilizzare i pennelli. Per la creazione dei fondali mi sono documentata attraverso numerosi testi. – racconta questa artista siciliana - Utilizzo anche la tecnica del fluid paint: i colori acrilici uniti con alcuni pigmenti diventano fluidi e non si mischiano fra di loro. In questo modo si ottengono effetti fantastici!». Vissuta in Sardegna, (a Sassari ed in seguito ad Olbia), fin dall’età di tre anni si è innamorata della pittura sin da bambina, facendola sua nella crescita: un realismo che ti porta anche dove l’occhio fatica a vedere, in un mondo dove la parola diventa superflua. 

Il realismo d’epoca e del quotidiano di Maria Caterina Mariano

Per Maria Caterina Mariano (Olbia, ’47), (Presidente dell’Artemisia International Gallery), l’arte è riproduzione, imitazione del reale. Mimesi accurata della natura o di quegli oggetti posti in essere dall’uomo e resi autonomi in quanto cose tra le cose. Il suo gesto pittorico si celebra attraverso l’uso del pennello, dal vivo, dinanzi a ciò che vuole rappresentare, oltre che nel privato, servendosi di apposite diapositive da proiettare su una parete, al fine di completare il lavoro: forse un paesaggio colpito dal vento, delle “Rocce come sculture”, dal titolo di una sua opera, oppure un gioco di luci colto in un cielo che s’illumina dell’alba di un paesaggio della sua terra… o ancora la rappresentazione simbolica della ripresa dell’Italia degli anni ’50, mentre una ragazza posa dinanzi ad una macchina d’epoca.
Il realismo per Maria Caterina è tutto ciò che accade: «Dipingo ciò che mi attrae esprimendo proprio le cose reali. Il reale sono me stessa e quello che vedo.» La bellezza in lei è il raggiungimento della perfezione nel dipingere il reale. Amante del pensiero ottocentesco fatto vivere dal movimento dei macchiaioli ne condivide la filosofia estetica: la visione delle forme è pensata così come creazione della luce, di macchie di colore differenti, allineate o sovrapposte che l’occhio dell’artista cattura in una veridicità del momento.

Le perfezioni del reale di Maria Gattu

Maria Gattu (Nuoro, ’43) porta in mostra una sua natura morta, immobile nella sua perfezione, resa con un iperrealismo statico, d’eterna bellezza, mentre sullo sfondo variopinte colorazioni intonate all’uva e al melograno nel cesto di frutta stupisce i visitatori di tanta precisione. Per Maria Gattu la bellezza è proprio nella perfezione della natura in quel momento in cui la realtà raggiunge il suo punto di compiutezza assoluta. I suoi oli su pannello fanno brillare i colori mentre le linee di confine degli elementi rappresentati sembrano composte con un ago e un filo. Avendo lavorato come ricamatrice per molti anni ed ancora praticando quest’arte artigiana, le sue opere pittoriche risultano specchio di quell’attenzione misurata che ha alimentato dentro di sé nel corso della sua vita. Ama rappresentare anche fiori, paesaggi figurativi, scorci antichi come fossero scatti di una macchina fotografica, quasi ingannando la vista di chi li osserva.

giovedì 18 aprile 2019

Lo spirito, la carne, il metafisico… e il gioco


A cura di Valentina Cavera

All’interno dello studio Mitti (Via Alzaia Naviglio grande 4, Milano) si aprirà il 19 Aprile 2019, per il periodo pasquale, (Fino al 29 Aprile 2019) l’esposizione dal titolo “Lo spirito, la carne, il metafisico… e il gioco”, alla quale parteciperanno sette artisti, personificando con le loro opere ognuno dei temi proposti: Maria Teresa Piantanida in arte Mitti, Michele Falciani, Fabio Andronaco, Greta Eta, Giovanni Femia, Massimo Angotti e Pietro Dossena. Sponsorizzata da ArredissimA, realtà dell’arredamento, in veste di mecenate di artisti di qualità, a braccetto con gli antichi mestieri, uno sguardo sul futuro!

Lo Spirito

Maria Teresa Piantanida in arte Mitti (Milano, ’49) richiama l’attenzione con un’opera da titolo “Giubileo 2015”. Un’immagine del cristo trascendente circondato da simboli riguardanti l’anno santo, ovvero l’esodo, la porta sacra, il calice, la continuità della croce del quotidiano vivere. In acquerello dalle trasparenze cromatiche che contrastano ed esaltano la concretezza del soggetto.

Michele Falciani di Sarno (Salerno) è pittore dell’anima; contribuisce all’evento con due mandala d’acquerello puro su tela, una scultura di un angelo realizzata con un pannello in legno e un pannello tondo in acrilico con due figure angeliche. Secondo lui «Lo spirito si può intendere come energia vitale, che spinge l’uomo verso la luce e la purezza al fine di divenire luce e confermare l’essere scintilla divina. L’anima ha la conoscenza assopita delle vite passate e va contattata per realizzare i suoi sogni e progetti pensati prima di scendere in terra e incarnarsi. Il corpo è abito dove spirito e anima abitano e attraverso il quale viviamo i sentimenti e le vibrazioni con le persone la natura e tutti gli esseri viventi».  

Fabio Andronaco (Milano, ’62) nella vita insegna meditazione taoista e Yoga, è naturopata di Riza Psicosomatica. In mostra, espone astratti di natura concettuale; i dipinti sono realizzati da una parte grazie a un moto istintivo, dall’altra per mezzo di visioni nate durante i momenti che l’autore dedica alla pratica della meditazione trascendentale. Composti prettamente con colori primari, accostati sovente al nero, «colori di quadricromia, come si dice nella stampa», i quadri sentono gli effetti dell’esperienza maturata durante i trent’anni di lavoro svolti nel campo della grafica e della fotografia.

La carne

Gretaeta nasce a Milano nel ’76, dove frequenta il liceo artistico Boccioni, la scuola del fumetto e l’Accademia Disney. In Mostra presenta opere in cui ritrae il corpo: la carne simbolo di sofferenza e erotismo, piacere e dolore. Il personaggio è donna, lei medesima che ossessionata dalla perfezione estetica, innamorata del corpo come oggetto e soggetto del concreto, sfida l’esistenza del quotidiano in ogni sua forma. Si guarda dentro, fa fuoriuscire i suoi pensieri più profondi, nell’intimità, nel suo dialogo aperto con l’inconscio. «La carne è il corpo che fa bruciare immediatamente il desiderio, vive con la presenza. – fantastica Gretaeta - Lo spirito è quel desiderio che rimane vivo anche con la lontananza, si fortifica con l'assenza. Il metafisico è Giorgio de Chirico. Il gioco è spesso un inganno».

Giovanni Femia (Tradate, Varese, ’82) presenta un’opera, realizzata con carboncino e pastelli a cera su carta: il corpo diviene composizione di elementi diversi fra loro, colori e forme, succo, essenza. D’altra parte il suo lavoro giunge al minimalismo, abbandonando persino ogni indizio cromatico. Questo disegno porta ancora con sé quel gesto di fantasia legato alla colorazione, forse perché in ogni parte di noi regna imperturbata una luce di vita tinteggiata.

Il metafisico

Opere in carboncino su carta, astratti, acrilici su tela… Massimo Angotti (Milano, ’72) rappresenta il metafisico: creature misteriose, oscure, giochi di colore come energie che respirano di vita, ambientazioni surreali. Il viaggio virtuale in cui conduce lo spettatore è quello che lui stesso compie quando disegna, dipinge: dentro se stessi ci sono isole di silenzio in cui si concentrano le nostre paure, i nostri dubbi, i nostri dolori, i pensieri più profondi. Anche i demoni lì hanno una coscienza, come in “La coscienza del demone”. Una luce di trasformazione brilla nei suoi occhi poiché consapevole del fatto che il corpo, la situazione in cui si trova non è la sua condizione originaria. Ispirandosi a De Chirico, una venere di Milo preannuncia un “Ritorno alla vita” mentre le nuvole dietro di lei sembrano scorrere nell’azzurro. La ricerca messa in atto da questo pittore milanese non è solo un percorso tra le dimensioni dello spirituale, del sé ma anche uno studio del dettaglio nel disegno che diviene studio del colore in pittura. «Ho bisogno di cominciare a mettere sul disegno quello che mi viene in mente, - spiega Angotti - il disegno a volte è già un’opera fatta e finita mentre altre volte sento di doverla sviluppare su una tela usando i colori, come nel caso di “Ti sento anche da qui”».

Il Gioco

Quadretti realizzati con paint, il programma base di windows o con pennarelli dove prende vita un mondo ben preciso, quello di Pietro Dossena (Milano, ’75), nel quale anche una penna ha una personalità. Vicine alla vignetta, le sue opere parlano, pensano, giocano: colorate, buffe, fanno sorridere. «Di fronte ad un foglio bianco sono libero di fare quello che mi viene in mente senza dare fastidio a nessuno, senza sentirmi obbligato a dovere fare come dicono gli altri. Disegnare, se è un gioco, è un gioco senza regole o meglio dove le regole s’inventano man mano che il gioco procede, come facevamo da piccoli quando sapevamo ancora sognare».

Inaugurazione 19 Aprile 2019
Dalle ore 18.30.
Fino al 29 Aprile 2019
Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Orari: 15.30 – 21.00.

venerdì 14 settembre 2018

"Un tuffo nel blu", una bipersonale con Giuseppe Milazzo e Luana Benetti



Il 23 fino al 30 settembre 2018, all’interno dello Studio Mitti (Alzaia naviglio Grande 4) aprirà la bi-personale intitolata “Un tuffo nel blu”, nella quale due pittori affronteranno il tema dandone una interpretazione personale: Giuseppe Milazzo e Luana Benetti.

Attraverso una selezione di dipinti in tecnica mista, realizzati con olio su acrilico e foglia d’oro, Giuseppe Milazzo (Piazza Armerina, Enna, ‘61) ci mostra il suo mondo di profondo blu, aeriforme, subacqueo, fatto di atmosfere rarefatte dallo sfondo informale, di pesci e volatili dalle accese tonalità, un suo modo intimo di festeggiare la vita… di soggetti figurativi colti in favolosi momenti dell’esistere. La vitalità che ne nasce ha il potere di donare un’anima persino alla pietra, alla roccia… che diventa colore oppure sofferente ricerca di se stessi; l’esigenza di scavare nel vuoto apparente, di penetrare la materia solida, liquida o aerea, la sua ricerca della bellezza, ne fa un pittore con il quale condividere il sogno dell’esistenza, poiché attraverso la sua ricerca artistica si aprono le porte dell’onirico. Così il pavone «offre il meglio di sé nella ruota della vita», l’ippocampo esprime «l’incontro in quanto continuità del vivere in un habitat nascosto», un pesciolino raffigurato nei fondali marini racconta l’attesa come «scomposizione dell’essere là dove si cela».        

Lungo le onde di colore che si perdono nell’infinito, dipinte da Luana Benetti (Milano,’77), incontriamo Dio, quell’essere immateriale «dentro di noi - come sostiene la pittrice -in grado di renderci parte del tutto», dell’immensità. Una ricerca costante quella di Luana, la quale attraverso l’arte ne archivia i risultati, come se in ogni suo dipinto si potesse, in tal modo, percorrere il cammino spirituale che si è proposta di seguire. Acrilici su tela, tecniche miste, giochi di matita, penna e pantone sono strumenti con i quali rappresentare la sua esperienza mistica. Nel suo incommensurabile perpetuarsi il suo atto creativo trascende la realtà per raggiungere un territorio impalpabile, dove l’anima si fa viva, allegria d’essere: blu come il cielo e il mare, la notte e la vita… poiché «l’azzurro e tutte le sue tonalità – sostiene la Benetti - racchiudono ogni cosa, l’origine e la fine», in un continuum eterno d’esistenze, in una danza di forme fluttuanti, di energie che si muovono nello spazio illimitato, mentre l’occhio dello spirito scruta l’invisibile. «L’occhio come estensione dell’anima – afferma Luana - che dal profondo emerge in superficie e appare al mondo che lo circonda». Una luna si accende nel profondo blu, come il risvegliarsi di una coscienza; un pesce diventa uccello, l’acqua marina raggiunge la volta celeste a dimostrazione del fatto che in ogni oggetto si nasconde il tutto.  

A dip in the blue




Along the waves of color that are lost in the infinite, painted by Luana Benetti (Milan, '77), we meet God, that immaterial being "inside us - as the painter claims - able to make us part of everything", of the 'immensity. A constant research that of Luana, which through the art files the results about it, as if in each of her paintings could, in this way, travel the spiritual path that she wanted to follow. In her incommensurable perpetuation her creative act transcends reality to reach an impalpable territory, where the soul becomes alive, joy of being: blue as the sky and the sea, the night and the life ... since "the blue and all its shades - Benetti supports - contain everything, the origin and the end", in an eternal continuum of existences, in a dance of floating shapes, of energies that move in unlimited space, while the eye of the spirit searches the invisible… A moon lights up in the deep blue, like the awakening of a conscience; a fish becomes a bird, sea water reaches the celestial vault, demonstrating that everything is hidden in every object.   


 

Un tuffo nel blu

Inaugurazione 23 settembre 2018
Dalle ore 18.30

Fino al 30 settembre 2018

Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4, Milano

Orari
15.30 – 21.00
Domenica 30 in contemporanea con il Mercatone, rimarrà aperta dalle 10 del mattino

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 Con Giuseppe Milazzo si penetra nella profondità, ci si spinge nell’abisso marino, nuotando nelle varie sfumature di blu in esso contenute; ci si addentra in territori incontaminati, tra fondali colorati, illuminati dalle tinte accese di pesci solitari, che frammentano il proprio essere durante il tempo dell’attesa. Le sue ambientazioni favolose, tra spugne e rocce, inserti dorati e ricami klimtiani, portano dentro di sé il fluttuare dell’onda. Con questo pittore lombardo si accoglie festosamente lo strepito visivo dei numerosi pesci pagliaccio mentre si rallegrano dell’ipotetica unione di due cavallucci marini… si festeggia tra i ciottoli la vivacità dell’acqua, tradotta dall’artista nel suo donare ai sassi, di volta in volta, colorature differenti… si vive il blu in tutte le sue trasparenze, in tutte le sue forme, diventando persino penna, piuma capace di volare oltre la realtà. Attraverso l’andare oltre si giunge pur sempre alla profondità, come quando Milazzo vive la sofferenza, immergendosi nella materia, penetrandola, rendendo vivo il travaglio, la curiosità mescolata a quella necessità di andare a fondo, in quanto senso di liberazione.



Biografia:

Giuseppe Milazzo nasce a Piazza Armerina, in provincia di Enna, nel ’61. Studia per lo più da autodidatta, conseguendo l’attestato di frequenza della scuola d’arte di Cabiate. Frequenta successivamente per circa un anno lo studio di pittura di Roberto Morandini, artista che predilige il figurativo, e per tre anni quello di Luigi Fadda, espressionista divisionista, con il quale impara anche a realizzare vetrate artistiche, dalla tecnica tiffany a piombo.




With Giuseppe Milazzo it’s possible to penetrate into the depth, and go into the sea abyss, swimming in the various shades of blue contained in it; also enter into uncontaminated territories, between colored backgrounds, illuminated by the bright colors of solitary fish, which fragment own being during the waiting time. His fabulous settings, including sponges and rocks, golden inserts and Klimt embroidery, bring the fluctuate of the wave inside. With this Lombard painter the festive clamor of the numerous clown fishes is joyfully welcomed while they rejoice at the hypothetical union of two seahorses…the vivacity of the water is celebrated among the pebbles, translated by the artist in his giving to the stones, from time to time, different colors… Blue is lived in all its transparencies, in all its forms, becoming even a pen, a feather capable of flying beyond reality. Through going beyond everyone can always come to the depth, as when Milazzo experiences suffering, plunging into matter, penetrating it, making labor alive, the curiosity mixed with that need to go deep, as a sense of liberation.






Ho incontrato la vita in un filo d'erba. Personale di Chiara Maresca





All’interno dell’Oratorio della Passione di S.Ambrogio (Piazza Sant'Ambrogio 15, Milano) si presenta la personale di Chiara Maresca, dal 5 al 13 settembre 2018. Risulta subito evidente la sua capacità di attraversare la materia per coglierne l’essenza. L’armonia che si cela dietro al silenzio è il passepartout che le permette di comprendere l’identità delle cose. Il misticismo con cui approccia al suo lavoro le consente di ascoltare il sussurro primordiale dei corpi materici. Realizzando astratti, si serve di stili e elementi vari, come tessuti, carta, bottoni, sabbia, legno, fibre.

L’uso di colorazioni accese è uno dei tratti distintivi di questa artista napoletana.  «La vita è colore; il bianco e nero mi piace poco, è elegante ma mi piace molto poco. In questo senso, la napoletanità, il bisogno che abbiamo noi di luce, sole, riflessi, della solarità… ci deriva dal nostro essere nati in luogo anziché in un altro». Un altro punto fondamentale per comprendere l’atto pittorico della Maresca sono le modalità con cui crea: «coniugare manualità ed astrazione, fisicità e spiritualità, realtà e sogno. Il ricordo e la riflessione sono il collante che racchiude ed unifica il flusso narrativo. Il colore e la luce ne sono gli strumenti rappresentativi».

Opere dal 2011 al 2018. La natura rimane uno dei suoi soggetti principali… come quando affronta il tema delle profonde cicatrici lasciate dalla mano dell’uomo sul pianeta terra e ci racconta, sulle tele, le lacrime di una corteccia d’albero, l’hevea, ferita a morte nella foresta peruviana per estrarne il caucciù o di un’Amazzonia sofferente spesso stravolta nel suo assetto geografico, piegata dalla siccità a causa dell’avvelenamento e di arbitrarie deviazioni dei corsi dei fiumi.

Testo critico

L’essenzialità pittorica di Chiara Maresca


L a pittura di Chiara Maresca ruota attorno a termini quali essenza, emozione, musica, colore, luce, materia, ricordo.
L’essenza delle cose si nasconde dietro alla musicalità data dal silenzio in Chiara Maresca. L’atteggiamento mistico con cui mira all’oggetto rende le sue opere respiri di vita. Cosa c’è più essenziale di un respiro? L’essenza stessa della vita risiede nel respiro: nell’impercettibilità del suo suono, nel suo odore quasi inesistente, nell’incredibile leggerezza del suo corso.
L’autrice sembra catturare il primo respiro della materia vivente, il suo battito più intimo, il suono segreto che si cela nel silenzioso apparire delle immagini del reale. Per questo l’astrattismo è il suo modo di rappresentare ciò che vede. Osservando le sue creazioni si evince che in lei l’essenza non è verità assoluta. «Nell’arte non esiste una verità ultima, ma ciò che si mostra è sempre una visione soggettiva», sottolinea l’artista. La sua descrizione del reale «è un discorso che conduce alla cosa attraverso le impronte di essa», così come concepivano gli stoici la problematica linguistica inerente al termine Essenza, ma considerando questo ragionamento su un piano puramente personale. Senz’altro è così, quando si guarda all’essenza da un punto di vista puramente rappresentativo.
Seguendo il lungo dibattito sul vero significato del termine Essenza,
avvenuto nel corso dell’evoluzione del percorso filosofico, è possibile
comunque addentrarsi nella comprensione della poetica di Chiara
Maresca, se si pensa però alle sue opere come specchi di una sua sensibilità interiore. Aristotele, per esempio, definiva l’Essenza come «La sostanza stessa considerata a parte dal suo aspetto materiale». Così Chiara affronta la realtà, raffigurando l’astratto. In Plotino si stabilisce un’uguaglianza reciproca dei termini essenza e sostanza, che egli attribuisce «allo stato delle cose nel mondo intellegibile, cioè nel nous divino, ma non solo a tale stato». Qui, egli afferma «tutto è nell’unità, sono identici la cosa e il perché della cosa». È possibile dire contemporaneamente che disegnando Chiara deduce la quiddità, un’altra variazione dello stesso termine che stiamo analizzando, “quod quid erat esse”, ciò per cui qualcosa è ciò che è. Per S.Tommaso la quiddità è anche chiamata forma o natura. L’essenza per Husserl contrassegna «ciò che si trova nell’essere proprio di un individuo come suo quid», ma considerando
che ogni tale quid può essere messo in idea. L’oggetto intuito risulterà
l’equivalente della Essenza pura o eidos. A tale Essenza ci si arriva
attraverso un atto di intuizione che è similare al percepire sensibile.
Quest’ultima è sicuramente la visione moderna dell’Essenza sostanziale aristotelica. Dunque ritornando a Chiara, la sua intuizione nasce dall’emozione. In sintesi, trascendendo la realtà, con l’astrattismo, raggiunge l’essenza, intuendola attraverso il sentimento... «Cosa devo fare io attraverso l’arte? Tradurre l’emozione che prescinde la realtà: nessuno di noi infatti vede in modo identico ciò che si apre al suo sguardo, nessuno resta affascinato con le stesse modalità da un paesaggio, da una moderna costruzione, da una scena d’amore o giudica attraente una stessa persona - racconta Chiara Maresca - L’idea di previlegiare l’astratto e non il figurativo nasce in me proprio dallo stupore con cui osservo il mondo che mi circonda privilegiandone il valore della spiritualità, una vibrazione dell’anima, qualcosa che scuote, che mi fa sentire viva».
Pianista e compositrice, oltre che pittrice Chiara Maresca, eclettica e
profonda, percepisce tra le arti un’influenza reciproca. «Musica è respiro, gioia, conoscenza di sé, scavare nell’anima propria e altrui, ma ciò è indispensabile anche per essere un pittore. – spiega l’autrice - Musica è movimento. Quando dipingo mi concentro moltissimo e tocco tutto ciò che per me è strumento di lavoro. Con le mani mi muovo, danzo, metto il colore in questa o quest’altra sequenza particolare. Musica è danza. E la danza unisce scenografia, pittura, musica, movimento e storie; basti pensare all’opera lirica». Secondo Schopenhauer, mentre l’arte in generale è l’oggettivazione della Volontà di vivere in tipi o forme universali che ciascun arte riproduce a suo modo, la Musica è rivelazione immediata o diretta della stessa Volontà di vivere. Con i Pitagorici nasce la dottrina della Musica come scienza dell’armonia e dell’armonia come ordine divino del cosmo. Lo stesso Dante cattura questa interpretazione facendola sua, arrivando a paragonare la Musica al pianeta Marte, poiché è “la più bella relazione”, ovvero armonia, essendo al centro degli altri pianeti e ed è il più caloroso, in quanto il suo calore è paragonabile a quello del fuoco, onorandolo così di un carattere cosmico. Osservando le opere della Maresca traspare una sorta di melodicità silente, che genera una serenità interiore. Un’opera che rappresenta al meglio questo punto è la tavola intitolata ”La malva veste di rosa le saline di
Atacama”. «Qui nel deserto fiorisce la malva durante la primavera e il mondo diventa fantasticamente irreale. – spiega la Maresca - Il silenzio, in realtà, non esiste: il silenzio è musica, perché è musica tutto ciò che intono a noi vibra e risuona». Quando dipinge ama ascoltare compositori come Mozart, Bach, Puccini, Stravinsky, John Cage, poiché ognuno di essi riesce a dare un messaggio significativo che arriva nel profondo. Certamente ascoltare Chiara parlare di musica è molto interessante. «Mozart è il primo in assoluto. Lui è
l’artista che riunisce in sé profondità e leggerezza. La purezza fondamentale. Ci sono alcuni spartiti, sonate, che porto sempre di esempio, “Tema e variazioni”. Ci sono solo tre righe che si replicano in una paginetta.
Tre note su e tre sotto, ma lì c’è tutto: melodia, armonia… è il puro per
eccellenza, di una profondità straordinaria. – illustra Chiara - Bach è il musicista colto, quello che sapeva sviluppare i temi, maestro del
contrappunto… Puccini, è leggero e nello stesso tempo profondo. Ha scritto opere straordinarie, soprattutto quelle della sua gioventù… perché sono fresche. Si piange, ci si commuove quando si va a vedere la Bohème, Madama butterfly… Stravinsky, è stato avvicinato a Picasso. Ha seguito anche lo stesso percorso di cambiamenti e novità. Quando lui è diventato cubista, lui ha scritto la Sagra della primavera. Poi è diventato neoclassico quando anche Picasso è diventato neoclassico. John Cage invece ha stravolto il concetto di
musica: musica come rumore, come silenzio… Ha scritto questo libro che si chiama “Il silenzio”. Lui registrava ad esempio il silenzio nei boschi».
Conoscere un artista in tutto e per tutto, significa comprendere il suo
messaggio fino in fondo. Pittura e musica in lei sembrano sposarsi attraverso l’unione di tecnica, colorazione e materia. Altri temi da affrontare riguardano l’importanza del colore e della materia nella sua vita. Nata a Napoli rimane ancorata alle sue radici a livello estetico. Racconta: «La vita è colore; il bianco e nero mi piace poco, è elegante ma mi piace molto poco. In questo senso, la napoletanità svolge un ruolo fondamentale nelle mie scelte estetiche. Il bisogno che abbiamo noi, figli del sud, di luce, sole, riflessi …
deriva dal nostro essere nati in luogo anziché in un altro». Ed Ancora: «Nelle mie creazioni artistiche, accostamenti particolari di tecniche e materiali, usati con grande libertà di espressione, rivestono un ruolo importante e significativo nella costruzione dell'opera e contribuiscono all'elaborazione di una personalissima sintassi linguistica. Stoffe, carta, resine, bottoni, cristalli, sabbia, elementi botanici, fibre, legno…dialogano con elementi più propriamente pittorici in un sottile gioco di rimandi reciproci. E rivelano
uno dei dati essenziali della mia poetica: coniugare manualità ed astrazione, fisicità e spiritualità, realtà e sogno. Il ricordo e la riflessione sono il collante che racchiude ed unifica il flusso narrativo. Il colore e la luce ne sono gli strumenti rappresentativi».
Quindi avventurarsi nella comprensione del valore della Materia, sarà un passo decisivo verso la conoscenza del lavoro di questa pittrice napoletana.
Mi sembra utile sottolineare, riflettendo sul pensiero espresso dall’artista che secondo Avicebron, poeta e filosofo, anche le cose spirituali sono composte di materia e forma. Aristotele identificando la materia con la potenza spiega: «Tutte le cose prodotte sia dalla natura che dall’arte hanno materia giacché la possibilità che ha ciascuna di essere o non essere, questa è, per ciascuna di esse, la sua materia».
Secondo Chiara Maresca: «Il mio amore per la materia è indiscusso. Nasce dal bisogno di conoscere il mondo che mi circonda attraverso tutti i miei sensi per poi reinventarlo, nella creazione dell’opera d'arte, non solo attraverso le emozioni, che tendono ad idealizzare la realtà del sentimento, ma anche attraverso l'istinto ed il contatto fisico. Ho sviluppato, perciò, negli anni una sorta di "filosofia del contatto", ricca di mistero e di suggestione, di sensualità fortemente sublimata che soddisfi il bisogno di comunicare anche coi sensi e che instauri con l'elemento / oggetto, col quale mi rapporto nella creazione artistica, una partecipazione attiva, determinante per la composizione stessa. L'idea (l'emozione, il ricordo) ed il lavoro (esperienza, tatto) in funzione reciproca, conferiscono dunque, al lavoro unità di spazio e di parola. La scelta nell'equilibrio tra le parti è la misura della VERITA' di ogni opera, è dare un significato ad ogni esperienza, di volta in volta, senza preconcetti, lasciandosi guidare dall'istinto, appunto, e dalla me