sabato 26 novembre 2016

Le opere di Gero Caldarelli, (“il ripieno del Gabibbo”), in mostra allo spazio Raw in “Con lo sguardo di un bambino che sorride”.

Le opere di Gero Caldarelli, il “Ripieno del Gabibbo”, verranno esposte allo Spazio Raw (C.so di porta ticinese 69, Milano), in “Con lo sguardo di un bambino che sorride”: dal 1 fino al 23 dicembre 2016. Pitto-sculture in gommapiuma e smalti ad acqua attraverso le quali il Gabibbo sfodera tutta la sua fantasia. Onnipresente nella maggior parte delle sue opere si autoritrae avventurarsi nel suo mondo dell’immaginazione, accanto ad altri personaggi che lo popolano: pesciolini, uccellini, pinguini, piccoli animaletti, giocolieri… Muniti di cornice realizzata sempre in gommapiuma e smalti ad acqua, i suoi lavori vi si attaccano tramite il velcro, rimanendo liberi e interscambiabili.
 Scelto da Antonio Ricci, "patron del Gabibbo e di Striscia la notizia", per interpretare il pupazzo tanto amato dagli italiani, insieme a Lorenzo Beccati, voce parlante, Gero Caldarelli s'interessa anche di pittura.
La sua passione per l’arte si concretizza nel 2001, anno in cui crea la sua prima opera, dove si narra lo scontro del Titanic con una roccia. Da quel momento oltre a mantenere il suo lavoro di mimo, continua a dipingere, tagliuzzare, colorare, fissare, portando avanti la sua carriera di artista. Oggi il suo studio in via Meda è ricco di nuove rappresentazioni pittoriche che raccontano tante piccole storie differenti. Colpisce la purezza e la profondità di significato che caratterizzano i suoi lavori. A volte lasciano la sensazione di passeggiare sulle nuvole, dove si abbandonano i pensieri per lasciare posto solo all’emozione e al gioco, altre volte s’impara concentrandosi di volta in volta su messaggi differenti. Filosofeggia usando le parole dei bambini, perché nella semplicità della vita si visualizza la strada maestra. Buddista fin dall’86, Gero Caldarelli crede nell’animismo, «la vita è in tutto, anche in un fiasco di vino…. se la si vede la si rispetta». D’altra parte si può dire che sia da sempre che costruisce pupazzi animandoli. Tra i suoi personaggi, nati prima di interpretare il Gabibbo, c’era Dario il Lampadario che era un maschilista, «Lui si sente il padrone perché è maschio, ma non è lui che dà la luce alle lampadine ma la corrente elettrica. Poi incontra Lampadina Caterina che cambia la sua mentalità. – spiega Gero - L’importante è saper cambiare».
Raccontare le sue opere è come leggere una favola. Spicca per dimensioni e potere estetico “Itai Dhosin” (60x80cm), in cui il Gabibbo nelle vesti di Poseidone, si aggira nell’ambiente sottomarino, tra colori suggestivi, cavallucci e stelle marine, coralli e tante specie di pesci differenti. In “Gita” (45x38cm) ci si sposta in vari angoli del mondo, da una grotta dove degli orsi hanno a che fare con un pentolone di colori a varie isolette colme di casette variopinte, verso un albero dove un uccello vuole mangiare della frutta, fino al centro dell’opera in cui domina un Pullman di turisti, intenti a osservare tutto.
Non mancano gli astratti e quelli dove il sorriso di un bambino si fa risata, come “In Sberleffi” (26x25cm) dove «una giraffa fa la linguaccia ad un brutto uccellaccio».     

Inaugurazione 1 dicembre 2016
 ore 19.00 -21.30

A cura di Valentina Cavera

Spazio Raw

www.spazioraw.it

Biografia di Gero Caldarelli
Quando si approccia alla conoscenza di un personaggio della grandezza del Gabibbo, l’unico modo possibile per visualizzare la strada del suo successo pare sia seguire i suoi passi a ritroso, perché il lungo cammino che lo ha condotto fino ad oggi, al suo ventisettesimo anno di età, è ricco di imprese eroiche e successi, sfide e avventure, oltre che d’incontri particolari con personaggi storici dello spettacolo, di un certo spessore professionale. La storia di questo pupazzo così famoso s’intreccia con quella di tre protagonisti della televisione: Antonio Ricci, voce cantata e patron del Gabibbo, Lorenzo Beccati, voce parlata, e in ultimo, ma non per importanza,  Giorgio Cardarelli, il suo ripieno, ovvero colui che dall’interno lo guida in tutti i suoi movimenti; Giorgio Cardarelli, conosciuto da tutti come Gero, ha creato, inoltre, il suo mondo di fantasia in gommapiuma e smalto ad acqua, dando alla luce, fin dal 2001, varie opere in cui il Gabibbo diventa di fatto un fumetto, una miniatura circondato da altrettanti piccoli amici e oggetti con un’anima. “Con lo sguardo di un bambino che sorride” è l’esposizione che presenta al pubblico il suo lavoro pittorico, di natura tridimensionale.
La nostra attenzione si focalizza quindi sulla narrazione della vita di un uomo in particolare, tra quella delle tre grandi personalità che hanno condotto il Gabibbo al ventisettesimo anno di età: quella di Gero Caldarelli, il suo “ripieno”, l’artefice delle opere in mostra, protagonista dell’evento in corso.  










Seguendo il suo percorso artistico, pervenendo alla radice, ciò che gli ha permesso di arrivare a un simile traguardo è sicuramente il suo sogno. Un sogno fatto della fantasia dei bambini, dei desideri candidi di purezza, della determinazione mai abbandonata. Che potere ha il sogno di un bambino? Forse apparentemente non si crede possibile possa avere tanta forza, ma solo concentrandosi sull’esistenza di Gero Caldarelli si avrà un esempio di quanta energia e luce vi si nasconda dentro. “Dentro un grande pupazzo si nasconde un grande uomo”, è il caso di dire, anche se poi Gero, di fatto, risulta inferiore all’1 e 60, ma di certo con “grande”, pensando a lui, non s’intende una caratteristica fisica, ma una genialità innata. 

Nasce a Torino il 24 Agosto del ’42. All’età di sei mesi si trasferisce con la famiglia a Milano. Ultimogenito di quattro figli, alla perdita della madre, avvenuta in tenera età, viene condotto dal padre in un collegio per poveri, l’Istituto “Divin Redentore” di Cesano Boscone, in provincia di Milano. Dopo poco tempo, alla morte del padre, tutto inizia a roteare attorno al suo sogno, che porta avanti senza mai perdere di vista.

Nel ’53 viene scelto per interpretare, nel ruolo di protagonista, l’operetta “La piccola Olandese”, vestendo i panni di una femmina poiché ai tempi le bambine e i maschietti non potevano recitare insieme per questioni di pudicizia. Come si legge tra le pagine del suo libro autobiografico ”Una vita da Ripieno”, da quel momento: «l’odore del palcoscenico, delle cantinelle, dei costumi, che appartengono alla magia di quel mondo, gli esplosero dentro, spingendolo a ritornare verso quella che sarebbe stata la sua strada maestra».

Fu Emilio Ferri, attore e regista, a guidarlo all’inizio della sua carriera. Nel ’56 va a vivere con il fratello e inizia a lavorare come antennista, senza mai accantonare il proprio desiderio di recitare. Nonostante non superi l’esame di ammissione per entrare alla scuola del Piccolo Teatro, diretta da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, non demorde e nel ’60 s’iscrive alla scuola di mimo.  Già nel ’63, dopo il terzo anno di corso passa al Professionismo, entra in Rai, quando Angelo Corti, suo maestro, lo porta in Televisione per partecipare alla trasmissione “la Fiera dei Sogni” con Mike Buongiorno: è l’anno della svolta in cui durante una di quelle puntate dà vita ad un personaggio dei fumetti del Corriere dei Piccoli” che fu sicuramente “Il primo passo da ripieno”.

Da questo momento saranno molte le prove che lo attenderanno, i successi e i cammini che gli permetteranno di raggiungere la meta alla quale è giunto. Oltre a recitare in teatro e fare cabaret insegna mimo in tutta Italia. Nel ’74 fonda con Maurizio Nichetti la scuola di Mimo, battezzandola Quelli di Grok. Allora non erano in molti in Italia a portare avanti l’arte del mimo. C’era Angelo Corti, Marise Flasch che ha fatto scuola, i suoi allievi più dotati quali Gero, Nichetti, Osvaldo Salvi, che per vivere faceva il clown e Jolanda Cappi che lavorava con il Teatro del Buratto. La proposta di Maurizio partiva dall’idea di spingere Gero e Osvaldo a interpretare i caroselli che stava scrivendo per la birra Prinz cosicché con il denaro guadagnato si potesse aprire una scuola di Mimo. Un’idea che di certo non rimane in potenza. Gli impegni di Gero raggiungono, a questo punto, le dodici ore giornaliere. Non solo insegna e fa spettacoli ma continua con i caroselli e la televisione. Nel frattempo Gero dopo l’incontro con Catia Munafò, esperta costumista (che tra l’altro ha confezionato tutti i Gabibbi), pensa sia giunto il giorno di sposarsi. Conosciuta in Sicilia durante le sue esperienze di cabaret, Catia è la donna con la quale costruisce la sua famiglia.

Un altro grande amore oltre alla recitazione, al mimo e a Catia è sicuramente quello nato nei confronti del Buddismo. Inizia a praticarlo fin dall’86. “Nam myo ho renge kyo” è la frase che usa ripetere giornalmente. Con essa si nomina in giapponese la legge che permea l’universo, la causa per far emergere il macrocosmo nel microcosmo. “Nam myo ho renge kyo” è un mantra che si recita di seguito al sutra dinanzi ad una pergamena sulla quale «vi sono iscritte in cinese antico ed in sanscrito tutte le funzioni vitali inerenti ad ogni vita – spiega nel suo libro - Non è altro che uno specchio, uno strumento per sondare la propria mente, che aiuta a far emergere la nostra natura illuminata».

Si è sempre ispirato ai fumetti, a topolino, paperino... Poi quando è diventato buddista, ha cominciato a vedere la vita negli oggetti, non solo nelle persone e negli animali. «Ho iniziato a veder delle storie, le ho raccolte; ruotavano intorno a me e le ho scritte, basta sapere vedere. E da lì ho fatto sette spettacoli per bambini. Gli spettacoli devono essere ricchi e colorati per i bambini. Ho cercato di portare queste storie a canale cinque, negli anni ’70 ma nessuno mi ha ascoltato». Questo è il periodo in cui inizia a lavorare con la TV svizzera che invece contrariamente apprezza il suo lavoro e lo fa andare in onda. È il tempo di Mister Paff, uno dei suoi personaggi!

Nell’88 decide di lasciare Quelli di Grok e di dedicarsi maggiormente ai suoi interessi, intensificando le sue esperienze televisive e teatrali, accantonando così futili prestazioni da operaio. È nel ’90 che Antonio Ricci lo sceglie per animare il personaggio comico da lui ideato. Rimane ancora un mistero come i movimenti dall’interno messi in atto da Gero combacino alla perfezione con la voce parlata di Lorenzo Beccati. Da allora il Gabibbo è andato in onda su varie trasmissioni di Antonio Ricci, quali Striscia la notizia, Veline, Velone, Cultura moderna e Paperissima Sprint.

Come artista ha già esposto all’interno della Galleria Santabarbara arte contemporanea, a Milano nel 2005, durante una personale organizzata a scopo benefico in favore dell’Associazione Ezio Greggio per l’aiuto a bimbi nati prematuri.

link articolo: http://it.blastingnews.com/milano/2016/10/la-mostra-personale-di-gero-caldarelli-il-ripieno-del-gabibbo-allo-spazio-raw-001206163.html



lunedì 12 settembre 2016

ARTIGIANI AL CASTELLO … UN SALTO NEL MEDIOEVO

Rassegna Nazionale Artigianato Artistico di Qualità ed antichi mestieri in ambientazioni medioevali


Gratificati dal costante successo di “Creazioni Artigiane Artiste …e fiori” che organizziamo da tanti anni ad Abbiategrasso in occasione della Festa della Donna a marzo, e su richiesta di artigiani, visitatori e cittadini che ci hanno più volte chiesto di sviluppare un evento sull’artigianato artistico anche in autunno – inverno, abbiamo deciso di dare vita ad una nuova manifestazione incentrata sull’artigianato di qualità e la promozione di antichi mestieri, vedendola in chiave più “antica” ed altrettanto suggestiva, ambientandola ed ispirandola ai contesti medioevali, facendo un salto nel passato storico nel castello visconteo di Abbiategrasso, vicino a Milano.

L’evento non vuole fregiarsi di diventare una rievocazione storica, ma intende ricreare le suggestioni e la cultura del passato, “immergendo” gli artigiani, gli antichi mestieri e gli stessi visitatori in un “salto nel passato”, andando a riprendere anche la storia e le usanze del castello e della popolazione negli anni in cui sorse proprio questo importante e splendido Bene culturale.

Un modo per fare cultura, insegnare e presentare, attraverso una manifestazione bella e suggestiva all’interno del Castello, mestieri antichi ancora attuali ed altri, forse dimenticati, in una coreografica un po’ particolare, nella quale i visitatori potranno trovare anche tante idee e produzioni interessanti ed originali per i regali natalizi.

La mostra “Artigiani al Castello … un salto nel Medioevo” è promossa da Associazione culturale e artistica Iperbole, con il supporto ideativo ed organizzativo di Eventi doc di Myriam Vallegra,  e verrà patrocinata da Comune di Abbiategrasso e Regione Lombardia.


La manifestazione “Artigiani al Castello … un salto nel Medioevo” offre un percorso suggestivo nei sotterranei e nella corte del castello, in cui il visitatore troverà pezzi unici, avvolto in un’atmosfera nuova ricca di colori, mistero, bellezza ed arte in cui si verranno presentati i lavori degli artigiani artisti, il cui estro va fatto conoscere e sostenuto.

“Artigiani al Castello … un salto nel Medioevo” è anche un evento affascinante e di intrattenimento: infatti, durante i giorni di manifestazione, ci sarà anche musica dal vivo, dimostrazioni, laboratori didattici e giochi per bambini, intrattenimenti e visite alla scoperta del castello.

Vi aspettiamo !
Inoltre dimostrazioni dal vivo, laboratori didattici e giochi per bambini, visite con accompagnatori culturali, musica dal vivo, intrattenimenti a tema medioevale

Venerdì 4, Sabato 5, Domenica 6  Novembre 2016

Castello Visconteo

Abbiategrasso (MI)

Orari apertura al pubblico:

Venerdì dalle 15.00 alle 19.30; Sabato e Domenica dalle 10.00 alle 19.30

Ingresso al pubblico gratuito



Per informazioni:

Associazione Culturale ed Artistica Iperbole
Cel. 329-8989533 – info@associazioneiperbole.it – www.associazioneiperbole.it


Eventi Doc di Myriam Vallegra
cel. 347-4009542 - info@eventi-doc.it  - www.eventi-doc.it



L’essenza pittorica di Chiara Maresca


Inoltrandosi nella materia con la profondità dell’anima, Chiara Maresca ne cattura l’essenza. Attraverso uno stile prettamente astratto, con l’uso e l’accostamento di tecniche ed elementi differenti, come stoffe, carta, bottoni, cristalli, sabbia, fibre, legno, questa artista napoletana, coniuga «fisicità e spiritualità, realtà e sogno». In una selezione di opere realizzate tra il 2011 e il 2016, seguiamo il suo percorso estetico fomentato dal suo amore per la materia. «Il mio amore per la materia è indiscusso e nasce dal bisogno di conoscere il mondo che mi circonda attraverso tutti i miei sensi e di reinventarlo, nella creazione di un'opera d'arte, non solo attraverso le emozioni, che tendono ad idealizzare la realtà del sentimento, ma anche attraverso l'istinto ed il contatto fisico. – racconta Chiara - Ho sviluppato, perciò, una sorta di "filosofia del contatto", ricca di mistero e di suggestione, di sensualità fortemente sublimata che soddisfi il bisogno di comunicare anche coi sensi e di instaurare con l'elemento / oggetto, col quale mi rapporto nella creazione di un'opera d'arte, una partecipazione attiva, determinante per la composizione stessa». Meditativa e colta crede nella forza e nel potere della natura, raffigurandola assai spesso nel particolare, come vista da una lente d’ingrandimento. Un invito ad addentrarsi nel vivo di un’”Ametista” o di una “Aragonite”, al centro di un ruscello d’acqua volando su una colomba, tra le lacrime all’interno delle crepe di un albero…

 Inaugurazione 17 settembre 2016
 Ore 18.30 –21.30
Fino al 29 settembre 2016
Spazio Libero
Alzaia Naviglio Pavese 8, Milano
Da lun. a ven. dalle 16.00 alle 19.30



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Testo d'approfondimento

La pittura di Chiara Maresca ruota attorno a termini quali essenza, emozione, musica, colore, luce, materia, ricordo.

L’essenza delle cose si nasconde dietro alla musicalità data dal silenzio in Chiara Maresca. L’atteggiamento mistico con cui mira all’oggetto rende le sue opere respiri di vita. Cosa c’è più essenziale di un respiro? L’essenza stessa della vita risiede nel respiro: nell’impercettibilità del suo suono, nel suo odore quasi inesistente, nell’incredibile leggerezza del suo corso. L’autrice sembra catturare il primo respiro della materia vivente, il suo battito più intimo, il suono segreto che si cela nel silenzioso apparire delle immagini del reale. Per questo l’astrattismo è il suo modo di rappresentare ciò che vede. Osservando le sue creazioni si evince che in lei l’essenza non è verità assoluta. «Nell’arte non esiste una verità ultima, ma ciò che si mostra è sempre una visione soggettiva», sottolinea l’artista. La sua descrizione del reale «è un discorso che conduce alla cosa attraverso le impronte di essa», così come concepivano gli stoici la problematica linguistica inerente al termine Essenza, ma considerando questo ragionamento su un piano puramente personale. Senz’altro è così, quando si guarda all’essenza da un punto di vista puramente rappresentativo. Seguendo il lungo dibattito sul vero significato del termine Essenza, avvenuto nel corso dell’evoluzione del percorso filosofico, è possibile comunque addentrarsi nella comprensione della poetica di Chiara Maresca, se si pensa però alle sue opere come specchi di una sua sensibilità interiore. Aristotele, per esempio, definiva l’Essenza come «La sostanza stessa considerata a parte dal suo aspetto materiale». Così Chiara affronta la realtà, raffigurando l’astratto. In Plotino si stabilisce un’uguaglianza reciproca dei termini essenza e sostanza, il quale la attribuisce «allo stato delle cose nel mondo intellegibile, cioè nel nous divino, ma non solo a tale stato». Qui, egli afferma «tutto è nell’unità, sono identici la cosa e il perché della cosa». È possibile dire contemporaneamente che disegnando Chiara deduce la quiddità, un’altra variazione dello stesso termine che stiamo analizzando, “quod quid erat esse”, ciò per cui qualcosa è ciò che è. Per S.Tommaso la quiddità è anche chiamata forma o natura. L’essenza per Husserl contrassegna «ciò che si trova nell’essere proprio di un individuo come suo quid», ma considerando che ogni tale quid può essere messo in idea. L’oggetto intuito risulterà l’equivalente della Essenza pura o eidos. A tale Essenza ci si arriva attraverso un atto di intuizione che è similare al percepire sensibile. Quest’ultima è sicuramente la visione moderna dell’Essenza sostanziale aristotelica. Dunque ritornando a Chiara, la sua intuizione nasce dall’emozione. In sintesi, trascendendo la realtà, con l’astrattismo, raggiunge l’essenza, intuendola attraverso l’emozione. «Di fronte a qualunque cosa, uno spettacolo della natura, l’incontro con una persona, ecc… la prima reazione è sempre di carattere irrazionale, emotiva, non è mai razionale. Cosa devo fare io attraverso l’arte? Tradurre l’emozione che prescinde la realtà; perché se due persone diverse rivolgono lo sguardo a una stessa cosa oggettivamente identica, non la vedono nello stesso modo. Il primo può essere colpito da una forma, l’altro da un profumo… - racconta Chiara Maresca -  L’idea di fare l’astratto e non il figurativo, mi viene da questo. Io vorrei essere il meno possibile descrittiva per legare l’arte a questo concetto: l’arte è emozione, spiritualità». Emozione per Chiara significa: «Provare un senso di scuotimento, una reazione emotiva… che può essere dolorosa o di felicità, ma sempre una dimensione altra, al di là della dimensione dell’ovvietà, della banalità del quotidiano… una vibrazione dell’anima, qualcosa che mi fa vibrare, che mi fa sentire viva».

Pianista e compositrice, oltre che pittrice Chiara Maresca, eclettica e profonda, percepisce tra le arti un’influenza reciproca. «Musica è respiro, gioia, conoscenza di sé, scavare nell’anima propria e altrui, questo è indispensabile per essere un pittore. – spiega l’autrice - È chiaro che se fai tutte due le cose, le cose convergono l’una nell’altra. Musica è movimento e quando dipingo queste tavole, io mi devo concentrare, perché con le mani mi muovo, danzo, metto il colore in una maniera particolare. Musica è scenografia, non a caso c’è musica fatta per la danza e per la pittura; la danza prevede l’unione di scenografia quindi di pittura, di musica, di movimento, di storie; basti pensare all’opera». Secondo Schopenhauer, mentre l’arte in generale è l’oggettivazione della Volontà di vivere in tipi o forme universali che ciascun arte riproduce a suo modo, la Musica è rivelazione immediata o diretta della stessa Volontà di vivere. Con i Pitagorici nasce la dottrina della Musica come scienza dell’armonia e dell’armonia come ordine divino del cosmo. Lo stesso Dante cattura questa interpretazione facendola sua, arrivando a paragonare la Musica al pianeta Marte, poiché è “la più bella relazione”, ovvero armonia, essendo al centro degli altri pianeti e ed è il più caloroso, in quanto il suo calore è paragonabile a quello del fuoco, onorandolo così di un carattere cosmico. Osservando le opere della Maresca traspare una sorta di melodicità silente, che genera una serenità interiore. Un’opera che rappresenta al meglio questo punto è la tavola intitolata ”Saline del deserto”, deserto peruviano di Atacama. «Qui fiorisce la malva durante la primavera, fiorisce e diventa tutto rosa. – spiga la Maresca - Il silenzio non esiste, ma il silenzio che possiamo ascoltare è musica, musica che non abbiamo creato noi. Come il frusciare dato dalle foglie…». Quando dipinge ama ascoltare compositori come Mozart, Bach, Puccini, Stravinsky, John Cage, poiché ognuno di essi riesce a dare un messaggio significativo che arriva nel profondo. Certamente ascoltare Chiara parlare di musica è molto interessante. «Mozart è il primo in assoluto. Lui è l’artista che raggruppa in sé profondità e leggerezza. la purezza è fondamentale. Ci sono alcuni spartiti, sonate, che porto sempre di esempio, “Tema e variazioni”. Ci sono solo tre righe che si replicano in una paginetta.  Tre note su e tre sotto, ma lì c’è tutto: melodia, armonia… è il puro per eccellenza, di una profondità straordinaria. – illustra Chiara - Bach è il musicista colto, quello che sapeva sviluppare i temi, maestro del contrappunto per eccellenza… Puccini, è leggero e nello stesso tempo profondo. Ha scritto opere straordinarie, soprattutto quelle della sua gioventù…  perché sono fresche. Si piange, ci si commuove quando si va a vedere la Bohème, Madama butterfly… Stravinsky, è stato avvicinato a Picasso. Ha seguito anche lo stesso percorso di cambiamenti e novità. Quando lui è diventato cubista, lui ha scritto la sagra della primavera. Poi è diventato neoclassico quando anche Picasso è diventato neoclassico. John Cage invece ha stravolto il concetto di musica: musica come rumore, come silenzio… Ha scritto questo libro che si chiama “Il silenzio”. Lui registrava ad esempio il silenzio nei boschi».


Conoscere un artista in tutto e per tutto, significa comprendere il suo messaggio fino in fondo. Pittura e musica in lei sembrano sposarsi attraverso l’unione di tecnica, colorazione e materia. Altri temi da affrontare riguardano l’importanza del colore e della materia nella sua vita. Nata a Napoli rimane ancorata alle sue radici a livello estetico. Racconta: «La vita è colore; il bianco e nero mi piace poco, è elegante ma mi piace molto poco. In questo senso, la napoletanità, il bisogno che abbiamo noi di luce, sole, riflessi, della solarità… ci deriva dal nostro essere nati in luogo anziché in un altro». Ed Ancora: «Nelle mie creazioni artistiche, accostamenti particolari di tecniche e materiali, usati con grande libertà di espressione, rivestono un ruolo importante e significativo nella costruzione dell'opera e contribuiscono all'elaborazione di una personalissima sintassi linguistica. Stoffe, carta, resine, bottoni, cristalli, sabbia, elementi botanici, fibre, legno…dialogano con elementi più propriamente pittorici in un sottile gioco di rimandi reciproci. E rivelano uno dei dati essenziali della mia poetica: coniugare manualità ed astrazione, fisicità e spiritualità, realtà e sogno. Il ricordo e la riflessione sono il collante che racchiude ed unifica il flusso narrativo. Il colore e la luce ne sono gli strumenti rappresentativi».

Quindi avventurarsi nella comprensione del valore della Materia, sarà un passo decisivo verso la conoscenza del lavoro di questa pittrice napoletana. Mi sembra utile sottolineare, riflettendo sul pensiero espresso dall’artista che secondo Avicebron, poeta e filosofo, anche le cose spirituali sono composte di materia e forma. Aristotele identificando la materia con la potenza spiega: «Tutte le cose prodotte sia dalla natura che dall’arte hanno materia giacché la possibilità che ha ciascuna di essere o non essere, questa è, per ciascuna di esse, la sua materia». 

Secondo Chiara Maresca: «Il mio amore per la materia è indiscusso e nasce dal bisogno di conoscere il mondo che mi circonda attraverso tutti i miei sensi e di reinventarlo, nella creazione di un'opera d'arte, non solo attraverso le emozioni, che tendono ad idealizzare la realtà del sentimento, ma anche attraverso l'istinto ed il contatto fisico. Ho sviluppato, perciò, una sorta di "filosofia del contatto", ricca di mistero e di suggestione, di sensualità fortemente sublimata che soddisfi il bisogno di comunicare anche coi sensi e di instaurare con l'elemento / oggetto, col quale mi rapporto nella creazione di un'opera d'arte, una partecipazione attiva, determinante per la composizione stessa. L'idea (l'emozione, il ricordo) ed il lavoro (esperienza, tatto) in funzione reciproca, conferiscono dunque, al lavoro unità di spazio e di parola. La scelta nell'equilibrio tra le parti è la misura della VERITA' di ogni opera, è dare un significato ad ogni esperienza, di volta in volta, senza preconcetti, lasciandosi guidare dall'istinto, appunto, e dalla memoria».










mercoledì 24 agosto 2016

Personale di Karin Feurich:"Rosso d’autunno. Così quando cadono le foglie…"

All’interno dello Spazio Raw si presenta una Bi-personale, una riflessione sulla natura. 



Con Karin Feurich e Gabriele Fiocco.


Inaugurazione 2 settembre, ore 19.00

Fino al 15 settembre 2016

Spazio Raw
C.so di Porta ticinese 69, Milano

0249436719

Lusingano la vista gli oli su tela di Karin Feurich, nei quali c’è un trionfo della bellezza, una rinascita, una descrizione raggiante del paesaggio bucolico. La luce vince sull’oscuro. Un viaggio tra i colori dei fiori, dei cieli tinti del rosso dell’autunno, delle atmosfere delle fiabe. Sembra quasi di percepire il profumo dei mercati dei floricultori o delle cortecce degli alberi nell’infittirsi del bosco. Pare di intravedere Pan nei suoi paesaggi onirici e fate cortesi spiarci nell’osservare. 
I suoi disegni su carta congiungono la bellezza estetica del soggetto all’utilità data dagli elementi naturali, che vengono riutilizzati per creare le opere. Proprio così quando cadono le foglie, si dà loro un nuovo scopo: la salvia e le foglie degli alberi, tramite una tecnica particolare sperimentata da questa artista diventano timbri che lasciano eternamente la loro presenza, nella forma, attraverso le minuziose venature che la compongono.

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Scaturisce meraviglia osservare i colori della natura che si mescolano alle forme e sfumano lasciando sempre intravedere il senso delle cose.
 La pittura di Karin Feurich si fonde con la bellezza propria dell’esistere. In lei la natura diviene riflesso dello spirito nel corpo materico. Le sue tecniche percettive ci mostrano l’armonia del creato, semplicemente, naturalmente evitando deliberatamente la complessità insita nel mondo che ci circonda. I suoi paesaggi non sono che lo specchio della sua interiorità, gioiosa, positiva, trasognante. Il ruolo delle sue composizioni estetiche è quello di suscitare piacere, amore per l’universo e per l’arte stessa. Arte come espressione del proprio sentire, dello stupore e dell’incanto nell’osservare il cuore di un bosco illuminato dalla luce dell’autunno, del rosso delle foglie che si lasciano cadere, abbandonandosi al proprio destino… del cielo ascoltato nel silenzioso fruscio delle piante, mentre il vento le smuove come onde di un mare senz’acqua… del profumo che pare di poter sentire. In Karin, la pittura diventa fiaba quando le tonalità dell’azzurro si fondono con il lilla e l’arcobaleno dato dalle sfumature dell’erba e dei fiori. «Mi affascina sempre quando la natura si colora, soprattutto l'autunno, poi anche l'inverno con i suoi paesaggi innevati. Primavera con il suo risveglio della natura e l'estate con i suoi colori brillanti e solari. – spiega Karin - Vivere la campagna, ti regala tutte queste sensazioni di fascino e ti fanno sognare».

 Poesie visive, riflesso di occhi che guardano la profondità del bello nell’animo umano, l’altrove che risiede in noi stessi. L’arte in Karin è bellezza. Come teorizzava Platone la bellezza è in grado di provocare amore, tanto che ha il potere di spingerci verso il ricordo o la contemplazione delle sostanze ideali. La bellezza in questa pittrice tedesca di origine, ma al contempo italiana per scelta e sorte, è anche ordine, cura minuziosa. Seguendo il discorso filosofico di un altro noto pensatore, ovvero Aristotele, ritroviamo questa medesima concezione: della bellezza cioè come simmetria, come ordine. Molti artisti del rinascimento rimasero fedeli a questa linea di pensiero. Con Karin Feurich assaporiamo la meraviglia della natura filtrata dalla cura che rivolgiamo ad essa, dalle attenzioni che le dedichiamo, a volte quasi istintivamente così come si taglia l’erba alta di un prato o si potano le piante quando il tempo lo richiede. I suoi soggetti seguono i colori del tempo, che mutano nel trascorrere dei mesi, con il passare delle stagioni.  Si rivive nelle sue opere la Toscana con i suoi cipressi, gli uliveti, i papaveri, i girasoli… luoghi amati che lo sguardo dell’anima ha reso eterni.

Biografia  

Nata a Lipsia in Germania, dopo il matrimonio con un italiano si trasferisce a Carimate (Co). La simpatia verso la nostra cultura avviene con naturalezza. Discendente di immigrati dell’800 al tempo dello Zar, ha vissuto a stretto contatto con persone che erano dotate di un’altra cordialità che si avvicina molto a quella del nostro paese. Avevano un calore umano che è molto simile a quello che possiedono gli italiani. I nonni erano russi di San Pietroburgo, prima della rivoluzione, I suoi cari hanno fatto tutti una esperienza russa finché non sono arrivati i bolsceviti; c’erano tante comunità straniere al tempo dello zar, poi con la rivoluzione uccidevano a vista… e furono costretti ad emigrare.

Nel 1998 s’iscrive all’Accademia di Brera e frequenta il corso di pittura della scuola degli Artefici con la professoressa Luciana Manelli, diplomandosi. Partecipa alle esposizioni del gruppo pittori di via Bagutta e del Naviglio. Opera in Toscana, dove è attiva in numerosi programmi d’arte, mostre personali e collettive.





 


Personale di Gabriele Fiocco: "Rosso d’autunno. Così, quando cadono le foglie…"

Le sculture di Gabriele Fiocco ci conducono esclusivamente lungo un percorso di utilità del rifiuto attraverso la sua ricerca progettuale del compostificio. Le foglie, i rifiuti organici, si trasformano grazie alle sue compostiere, realizzate sempre in parte con materiali di riciclo, recuperati dalle strade, dai bordi dei fiumi, dal retrobottega di aziende. Colorati in maniera grezza, rigorosamente con acrilici e smalti naturali, sono strutturate anche per apparire come elementi d’arredo, di design. Le foglie quando cadono si tramutano in compost che è possibile così utilizzare per dare una nuova vita alla terra di un giardino. Presenti in mostra anche modellini e disegni stilizzati delle sue originali compostiere.


Inaugurazione 2 settembre, ore 19.00

Fino al 15 settembre 2016

Spazio Raw
C.so di Porta ticinese 69, Milano


0249436719
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Il Progetto del Compostificio di Gabriele Fiocco (Napoli, 14 settembre 1979) nasce dall’emergenza rifiuti a Napoli del 2008. « Il Compostificio nasce dall’accatasto. C’erano montagne di rifiuti, in mezzo ad essi c’erano gli organici, ovvero l’umido, le foglie, gli scarti frutta e verdura, la cenere delle pizzerie, il caffè. Tantissime cose preziosissime vengono buttate, finiscono in mezzo alla plastica, fanno danni abnormi». Sicuramente l’idea è stata messa a punto, inoltre, grazie alle sue esperienze avvenute all’interno del Trasformatoio, una bottega che lo stesso autore aveva aperto a Napoli in quegli anni, frequentata oltre che da amici, i quali prendevano parte alla creazione di oggetti originali, anche da Riccardo Dalisi, architetto e designer precursore dell’arte povera. «Dalisi, durante gli anni ’70, ’80 ha fatto lavori importanti sia in strada, sia con alcuni artigiani di Napoli, con i quali ha seguito una ricerca di design artigianale, con materiali poverissimi, i materiali di scarto. Ci ha insegnato molto. – racconta Fiocco - Abbiamo praticato esercizi di creazione collettivi. In quel caso, si è realizzata in maniera un pochino esponenziale questo concetto della composizione, di una composizione libera, perché ognuno partecipava a queste costruzioni in una maniera spontanea. Il risultato era un risultato collettivo più ricco, che assomiglia molto alla differenza che si instaura tra il comporre l’ambiente e quello di ordinarlo”. L’autore così inizia a dare vita alle compostiere, contenitori dove poter sistemare i rifiuti. Infatti si rende conto che dando un destino diverso alla stessa materia si poteva «creare la vita, arricchire il terreno, nutrire le piante e quindi nutrire la nostra vita». Come afferma Gabriele Fiocco «Questo è un concetto meraviglioso” e merita molta attenzione. Dalle eleganti fattezze, realizzate con materiale di riciclo e colorate con vernici naturali, tra acrilici e smalti, prodotti da alcune specifiche aziende, sono sicuramente anche elementi d’arredo e design. Incredibile pensare come tutto possa cambiare se gli stessi elementi vengono posizionati in contenitori differenti.  «Quindi si potrebbe pensare che sia una questione di ordine, tra virgolette. L’ordine, però, lungo questo percorso, viene subito rinnegato, perché l’ordine è un’imposizione, non c’è libertà, comunicazione. Paradossalmente la soluzione del compostificio avviene dal caos, non viene dall’ordine. Perché l’’ordine non è stato uno stimolo per trovare una soluzione, il caos si. Per trovare una soluzione io parto da qualsiasi condizione considerata anche la più caotica, da momenti di pura emergenza, dal casino totale. Il compostificio non è l’ordine del caos, ma è una composizione. Da tutto ciò che creo nasce una composizione, non l’ordine stesso… Dunque io creo dal disordine». A livello filosofico, il caos viene definito “abisso sbadigliante”, quella condizione di completo disordine che antecede la nascita del mondo. Anche Kant se ne servì, per rappresentare lo stato originario della materia dal quale si sono poi creati i mondi. Dal caos nasce la vita anche nel progetto del compostificio. Il tema del recupero è oggi una problematica importante, molto dibattuta. Seguendo la ricerca di questo giovane artista si evince che: «Il mio lavoro non è sul contenuto, ma sul contenitore. Il contenuto, dipende dal contenitore… gli stessi elementi messi nella plastica creano la morte…una buccia di mela, insieme alla foglia di insalata se vengono messe in un sacchetto di plastica e vengono sbattuti in una discarica, subiscono una trasformazione in assenza di ossigeno. Quella roba crea una proliferazione batterica dannosa, inquina l’aria e le falde acquifere… e sono poi quelle cose che creano i tumori, le malattie. Ci avvelenano praticamente, avvelenano le piante, il terreno, gli animali. Le stesse cose, e qui c’è l’opportunità che sta a noi e al contenitore… quelle stesse cose messe in una compostiera, con del terreno e con delle foglie, in un mix corretto di proporzioni, diventano concime. La suddetta materia viene digerita dagli microrganismi e diventa terreno. Se mescolata in quantità giuste fra cose secche e cose umide assomiglierà molto, anche a livello di profumo, al sottobosco…  La manovella che accompagna il design dell’opera stessa è un elemento che coinvolge chi si avvicina a questi contenitori in una maniera cognitiva. Osserverà la materia all’interno della compostiera e curerà con maggiore attenzione il risultato. Nel contenitore giusto non è roba di cui schifarsi».


Biografia

 Dopo gli studi svolti a Perugia in comunicazione pubblicitaria, si dedica a istallazioni, prototipi e incursioni urbane, disegno, composizioni artistiche, sculture, costruzioni in legno e acciaio, design artigianale, azioni di comunicazione o d'arredo urbano. A Napoli dopo aver assistito Riccardo Dalisi nel progetto Università Volante (in collaborazione con Tam Tam Tam di Alessandro Guerriero e Alessandro Mendini), ha approfondito la passione per il disegno libero, la costruzione senza fissaggio, gli esercizi di creatività di gruppo, il design. Dopo il Trasformatoio a Napoli (visibile la pagina su facebook) si dedico stabilmente al design perché considera gli oggetti come mezzi di comunicazione utili alla risoluzione di vere problematiche sociali, con il progetto Compostificio (vedi www.compostificio.it e pagina facebook). A Milano come a Napoli collabora con diverse associazioni legate al tema del design del riciclo, della “decrescita”, del riuso temporaneo degli spazi pubblici. Espone alcuni prototipi di compostiere d'arredo nell'VIII edizione del Triennale Design Museum di Milano curato da Célant in collaborazione con Silvana Annicchiarico. 
Ha in corso la progettazione di compostiere didattiche per scuole e d'arredo urbano in collaborazione con un’azienda di Torino. Inoltre propone laboratori di trasformazione degli scarti organici e stimolazione immaginativa, rivolti ai bambini di scuole elementari e medie. Cerca d'imparare dalle sue compostiere a trasformare i limiti in opportunità.


Link Video : https://www.facebook.com/spazioRAW-153291728071019/videos






Personale di Gabriele Fiocco: "Rosso d’autunno. Così, quando cadono le foglie…"

Le sculture di Gabriele Fiocco ci conducono esclusivamente lungo un percorso di utilità del rifiuto attraverso la sua ricerca progettuale del compostificio. Le foglie, i rifiuti organici, si trasformano grazie alle sue compostiere, realizzate sempre in parte con materiali di riciclo, recuperati dalle strade, dai bordi dei fiumi, dal retrobottega di aziende. Colorati in maniera grezza, rigorosamente con acrilici e smalti naturali, sono strutturate anche per apparire come elementi d’arredo, di design. Le foglie quando cadono si tramutano in compost che è possibile così utilizzare per dare una nuova vita alla terra di un giardino. Presenti in mostra anche modellini e disegni stilizzati delle sue originali compostiere.


Inaugurazione 2 settembre, ore 19.00

Fino al 15 settembre 2016

Spazio Raw
C.so di Porta ticinese 69, Milano


0249436719
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Il Progetto del Compostificio di Gabriele Fiocco (Napoli, 14 settembre 1979) nasce dall’emergenza rifiuti a Napoli del 2008. « Il Compostificio nasce dall’accatasto. C’erano montagne di rifiuti, in mezzo ad essi c’erano gli organici, ovvero l’umido, le foglie, gli scarti frutta e verdura, la cenere delle pizzerie, il caffè. Tantissime cose preziosissime vengono buttate, finiscono in mezzo alla plastica, fanno danni abnormi». Sicuramente l’idea è stata messa a punto, inoltre, grazie alle sue esperienze avvenute all’interno del Trasformatoio, una bottega che lo stesso autore aveva aperto a Napoli in quegli anni, frequentata oltre che da amici, i quali prendevano parte alla creazione di oggetti originali, anche da Riccardo Dalisi, architetto e designer precursore dell’arte povera. «Dalisi, durante gli anni ’70, ’80 ha fatto lavori importanti sia in strada, sia con alcuni artigiani di Napoli, con i quali ha seguito una ricerca di design artigianale, con materiali poverissimi, i materiali di scarto. Ci ha insegnato molto. – racconta Fiocco - Abbiamo praticato esercizi di creazione collettivi. In quel caso, si è realizzata in maniera un pochino esponenziale questo concetto della composizione, di una composizione libera, perché ognuno partecipava a queste costruzioni in una maniera spontanea. Il risultato era un risultato collettivo più ricco, che assomiglia molto alla differenza che si instaura tra il comporre l’ambiente e quello di ordinarlo”. L’autore così inizia a dare vita alle compostiere, contenitori dove poter sistemare i rifiuti. Infatti si rende conto che dando un destino diverso alla stessa materia si poteva «creare la vita, arricchire il terreno, nutrire le piante e quindi nutrire la nostra vita». Come afferma Gabriele Fiocco «Questo è un concetto meraviglioso” e merita molta attenzione. Dalle eleganti fattezze, realizzate con materiale di riciclo e colorate con vernici naturali, tra acrilici e smalti, prodotti da alcune specifiche aziende, sono sicuramente anche elementi d’arredo e design. Incredibile pensare come tutto possa cambiare se gli stessi elementi vengono posizionati in contenitori differenti.  «Quindi si potrebbe pensare che sia una questione di ordine, tra virgolette. L’ordine, però, lungo questo percorso, viene subito rinnegato, perché l’ordine è un’imposizione, non c’è libertà, comunicazione. Paradossalmente la soluzione del compostificio avviene dal caos, non viene dall’ordine. Perché l’’ordine non è stato uno stimolo per trovare una soluzione, il caos si. Per trovare una soluzione io parto da qualsiasi condizione considerata anche la più caotica, da momenti di pura emergenza, dal casino totale. Il compostificio non è l’ordine del caos, ma è una composizione. Da tutto ciò che creo nasce una composizione, non l’ordine stesso… Dunque io creo dal disordine». A livello filosofico, il caos viene definito “abisso sbadigliante”, quella condizione di completo disordine che antecede la nascita del mondo. Anche Kant se ne servì, per rappresentare lo stato originario della materia dal quale si sono poi creati i mondi. Dal caos nasce la vita anche nel progetto del compostificio. Il tema del recupero è oggi una problematica importante, molto dibattuta. Seguendo la ricerca di questo giovane artista si evince che: «Il mio lavoro non è sul contenuto, ma sul contenitore. Il contenuto, dipende dal contenitore… gli stessi elementi messi nella plastica creano la morte…una buccia di mela, insieme alla foglia di insalata se vengono messe in un sacchetto di plastica e vengono sbattuti in una discarica, subiscono una trasformazione in assenza di ossigeno. Quella roba crea una proliferazione batterica dannosa, inquina l’aria e le falde acquifere… e sono poi quelle cose che creano i tumori, le malattie. Ci avvelenano praticamente, avvelenano le piante, il terreno, gli animali. Le stesse cose, e qui c’è l’opportunità che sta a noi e al contenitore… quelle stesse cose messe in una compostiera, con del terreno e con delle foglie, in un mix corretto di proporzioni, diventano concime. La suddetta materia viene digerita dagli microrganismi e diventa terreno. Se mescolata in quantità giuste fra cose secche e cose umide assomiglierà molto, anche a livello di profumo, al sottobosco…  La manovella che accompagna il design dell’opera stessa è un elemento che coinvolge chi si avvicina a questi contenitori in una maniera cognitiva. Osserverà la materia all’interno della compostiera e curerà con maggiore attenzione il risultato. Nel contenitore giusto non è roba di cui schifarsi».


Biografia

 Dopo gli studi svolti a Perugia in comunicazione pubblicitaria, si dedica a istallazioni, prototipi e incursioni urbane, disegno, composizioni artistiche, sculture, costruzioni in legno e acciaio, design artigianale, azioni di comunicazione o d'arredo urbano. A Napoli dopo aver assistito Riccardo Dalisi nel progetto Università Volante (in collaborazione con Tam Tam Tam di Alessandro Guerriero e Alessandro Mendini), ha approfondito la passione per il disegno libero, la costruzione senza fissaggio, gli esercizi di creatività di gruppo, il design. Dopo il Trasformatoio a Napoli (visibile la pagina su facebook) si dedico stabilmente al design perché considera gli oggetti come mezzi di comunicazione utili alla risoluzione di vere problematiche sociali, con il progetto Compostificio (vedi www.compostificio.it e pagina facebook). A Milano come a Napoli collabora con diverse associazioni legate al tema del design del riciclo, della “decrescita”, del riuso temporaneo degli spazi pubblici. Espone alcuni prototipi di compostiere d'arredo nell'VIII edizione del Triennale Design Museum di Milano curato da Célant in collaborazione con Silvana Annicchiarico. 
Ha in corso la progettazione di compostiere didattiche per scuole e d'arredo urbano in collaborazione con un’azienda di Torino. Inoltre propone laboratori di trasformazione degli scarti organici e stimolazione immaginativa, rivolti ai bambini di scuole elementari e medie. Cerca d'imparare dalle sue compostiere a trasformare i limiti in opportunità.



giovedì 5 maggio 2016

Creatività Artigiana a Palazzo

Rassegna Nazionale  - 4° edizione

“Creatività Artigiana a Palazzo” è un evento creato e che si sta sviluppando man mano negli anni per valorizzare e promuovere la creatività e qualità artigiana italiana ad italiani e stranieri, nel centro di Milano.
Nel prestigioso ed elegante contesto ottocentesco di Palazzo Giureconsulti, sede storica della manifestazione, situato nel cuore culturale, economico e dello shopping della città di Milano, il 7 e 8 maggio, la manifestazione “Creatività Artigiana a Palazzo” accoglierà le originali produzioni di numerosi ed interessanti artigiani artisti, provenienti da numerose Regioni Italiane.

Creatività Artigiana a Palazzo, mostra promossa da Associazione Iperbole con il supporto organizzativo di Eventi doc di Myriam Vallegra, è fin dalla prima edizione Patrocinata da Regione Lombardia, Comune di Milano.

La mostra “Creatività Artigiana a Palazzo” presenta collezioni moda ed accessori, nuove ed originali linee di tendenza di gioielleria e bijoux dai materiali più classici come perle e metalli preziosi a quelli più inusuali come ceramica e sabbia, particolari, eleganti e raffinati complementi per la casa e la tavola ed anche oggetti per il regalo di alto artigianato artistico da proporre a tutti i visitatori italiani e stranieri che verranno a visitarla.

Sabato 7 e Domenica 8 Maggio 2016

In occasione della Festa della Mamma

Palazzo Giureconsulti
Via Mercanti 2, angolo Piazza Duomo

Milano centro

Ingresso al pubblico gratuito
Vendita al pubblico
Dimostrazioni dal vivo
Incontri con gli artigiani
Video e approfondimenti su tecniche e materiali
Laboratori didattici e giochi per bambini
Musica dal vivo
Degustazioni

Orari apertura evento:
Sabato e Domenica: 10.00 – 19.00


Pagina FB: Creatività artigiana

Per informazioni:
Eventi doc di Myriam Vallegra – tel. 347-4009542 – info@eventi-doc.itwww.eventi-doc.it

Associazione culturale e artistica Iperbole – tel. 329-8989533 – info@associazioneiperbole.itwww.associazioneiperbole.it