lunedì 27 maggio 2019

Sulla Fotografia


Sulla Fotografia è una collettiva, il viaggio di tre artisti nella fotografia: Subimal, Johnny Pixel e Esther Sadré. Dal 28 maggio 2019 al 2 Giugno 2019, allo Studio Mitti (Alzaia Naviglio Grande 4).

L’occhio dell’invisibile

Le rivelazioni fotografiche di Subimal


Gli scatti in bianco e nero di Alfredo De Joannon in arte Subimal (Milano, ’66) conducono lo sguardo del visitatore lungo le strade delle città, da una parte puntando l’obiettivo su soggetti architettonici ben precisi, dall’altra divenendo specchio del rituale passaggio del quotidiano in veste di street photography.
Una selezione d’immagini della sua retrospettiva per riuscire a carpire la meta a cui mira questo artista lombardo che, ispirandosi alle città invisibili di Calvino, da voce alle rappresentazioni in potenza mettendo in atto ciò che la realtà desidera rendere manifesto. Il fotografo come del resto sosteneva lo statunitense Ansel Easton Adams, diviene cacciatore d’immagini, strumento, che solo nel momento dello sviluppo sa farsi creatore, costruendo una poetica.
A differenza di autori come Henri Cartier-Bresson per il qualeLe fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”, e di quelli come André Kertész che utilizzano lo still-life per sospendere il tempo, Subimal concepisce questa forma d’arte come estensione di una disciplina spirituale che pratica, come contemplazione, rivelazione di una intuizione anteriore allo scatto. A tal proposito Subimal ricorda le parole di Sri Chinmoy, suo Maestro di meditazione riguardo l’arte fotografica: «La realtà interiore può essere visibile sul volto della realtà esteriore. La profondità interiore può essere sentita da un cuore umano. Ogni foto se scattata da un elevato piano di coscienza, rivela una nuova speranza, una nuova aspirazione e una nuova realizzazione, che la Madre Terra custodirà e tesoreggerà».

Astrazioni urbane di Johnny Pixel 


Le “Astrazioni urbane” nascono di notte sotto la pioggia, mentre la vivacità della città tra luci, riflessi e suoni non smette mai di prendere corpo: da Melchiorre Gioia a San Babila, dalla Triennale a Piazza Gae Aulenti, passando per Centrale e Garibaldi…
Queste opere fotografiche sono il risultato delle passeggiate solitarie di Johnny Pixel  (Milano, 1976), fotografo e artista, mentre si avventura all’interno del territorio milanese, tra le sue strade e i suoi angoli, tra palazzi e fontane, scorci e vedute: un modo nuovo di conoscere la realtà poiché nonostante essa sia fonte d’ispirazione e parte dell’opera stessa, è nello stesso tempo trascesa e rifuggita.
Come farebbe un pittore astrattista, Johnny Pixel prende spunto da un’impressione o un’emozione suscitata dagli oggetti del reale per comporre le sue immagini, ma essendo un fotografo si serve proprio del vero per poi disgregare parte del visivo, creando un miscuglio di verità e sogno, attraverso l’astrazione; quest’ultima per lui è un modo per rappresentare l’interpretazione interiore di ciò che appare agli occhi.
Lavorando con la macchina fotografica sul campo di ricerca ed interagendo con la sua energia creativa dà vita ad altre forme e colorazioni così da allargare la conoscenza del mondo stesso, valorizzando le capacità intuitive e fantastiche dell’uomo: l’uomo che crea e l’uomo che osserva, poiché nell’osservazione nasceranno ex novo emozioni e sensazioni, differenti da quelle pensate dall’ideatore dell’oggetto immaginato. Così come scriveva Licini nel 1935 riflettendo sull’astrattismo, “Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento”, con Johnny Pixel le architetture della città vestite dalle sue atmosfere surreali comunicano con l’io interiore.
«Quello che amo della fotografia è la possibilità, tramite essa, di poter mostrare al mondo scorci di se stesso colti da un personale punto di vista – racconta Johnny Pixel - ed anche, poter trasmettere ad una persona uno stato quasi inconscio di visione.»
Fotografare la città da prospettive particolari, rendendo macro ciò che è vicino, falsificando la visione di ciò che si proietta sullo sfondo è come ergere un ponte tra l’infinito e il finito, tra realtà e misticismo, tanto da sentirsi leggeri e liberi come una foglia al vento che non cessa di esistere nemmeno se strappata da un ramo. 

L’album fotografico di Esther Sadré


Osservando le opere Pop di Esther Sadré, (Modena, ’48) si vivrà un ritorno all’infanzia, oltre che l’amore al femminile in tutte le sue vesti. Collage realizzati con piccoli cammei e pietre, stoffe e lingue di pizzo, scampoli di tessuto ritagliati e incollati su tela, mentre immagini di donne, vere e proprie icone di bellezza, sono adagiate sulla tela a figurazione di un eterno presente.
Produzioni artistiche colte che s’ispirano alla storia dell’arte, a film e libri di cultura generale fanno comparire personaggi come la famosa ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer che a sua volta ha ispirato la scrittrice Tracy Chevalier nel suo romanzo omonimo … e poi Frida Kahlo, Marilyn Monroe e volti cinematografici come quello della Cavalieri, preziosa musa di Fornasetti. Del periodo vittoriano Esther coglie lo sguardo di dolcezza, la semplicità e l’abbandono tacito alla vita dei bambini del tempo, che come anche descrive Charles Dickens nei suoi scritti, vivono in un limbo di fragilità, dove la povertà e la trascuratezza rende tutto alquanto difficile.
Nel loro insieme i quadretti messi a punto da questa artista modenese prendono le sembianze di un album fotografico dove ogni singola immagine è delineata da una cornice in cui appaiono simboli di tenerezza e rosee apparizioni.

Inaugurazione 28 maggio 2019
Dalle 18.30
Fino al 2 giugno 2019
A cura di Valentina Cavera
Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Orari: dalle 15.30 alle 20.00


Il profumo del realismo


Il profumo del realismo si sprigiona in una collettiva che unisce un’iperrealista, Maria Gattu, due della scuola realista, Elisabetta Cocco e Maria Caterina Mariano.

I paesaggi subacquei di Elisabetta Cocco



Elisabetta Cocco (Catania, ’46) è l’artista che dipinge il mare nella sua veridicità, fino a superarla quando cercando di ingrandire alcuni particolari che lo caratterizzano, come fissati con una lente d’ingrandimento, sperimenta l’astratto: ed allora le colorazioni dei sottofondi marini, dell’acqua salata, spumeggiante, le tinte sfarzose dei coralli, quelle verdeggianti delle alghe e di tutto ciò che dimora nel fondo sommergono la forma, giungendo all’essenza. Utilizzando la tecnica a spatola con i colori ad olio nascono dapprima paesaggi colpiti dai riflessi marini e successivamente le visioni subacquee dei fondali. «Sono autodidatta e amo sperimentare nuove tecniche tanto che gli ultimi paesaggi li ho colorati con le dita senza utilizzare i pennelli. Per la creazione dei fondali mi sono documentata attraverso numerosi testi. – racconta questa artista siciliana - Utilizzo anche la tecnica del fluid paint: i colori acrilici uniti con alcuni pigmenti diventano fluidi e non si mischiano fra di loro. In questo modo si ottengono effetti fantastici!». Vissuta in Sardegna, (a Sassari ed in seguito ad Olbia), fin dall’età di tre anni si è innamorata della pittura sin da bambina, facendola sua nella crescita: un realismo che ti porta anche dove l’occhio fatica a vedere, in un mondo dove la parola diventa superflua. 

Il realismo d’epoca e del quotidiano di Maria Caterina Mariano

Per Maria Caterina Mariano (Olbia, ’47), (Presidente dell’Artemisia International Gallery), l’arte è riproduzione, imitazione del reale. Mimesi accurata della natura o di quegli oggetti posti in essere dall’uomo e resi autonomi in quanto cose tra le cose. Il suo gesto pittorico si celebra attraverso l’uso del pennello, dal vivo, dinanzi a ciò che vuole rappresentare, oltre che nel privato, servendosi di apposite diapositive da proiettare su una parete, al fine di completare il lavoro: forse un paesaggio colpito dal vento, delle “Rocce come sculture”, dal titolo di una sua opera, oppure un gioco di luci colto in un cielo che s’illumina dell’alba di un paesaggio della sua terra… o ancora la rappresentazione simbolica della ripresa dell’Italia degli anni ’50, mentre una ragazza posa dinanzi ad una macchina d’epoca.
Il realismo per Maria Caterina è tutto ciò che accade: «Dipingo ciò che mi attrae esprimendo proprio le cose reali. Il reale sono me stessa e quello che vedo.» La bellezza in lei è il raggiungimento della perfezione nel dipingere il reale. Amante del pensiero ottocentesco fatto vivere dal movimento dei macchiaioli ne condivide la filosofia estetica: la visione delle forme è pensata così come creazione della luce, di macchie di colore differenti, allineate o sovrapposte che l’occhio dell’artista cattura in una veridicità del momento.

Le perfezioni del reale di Maria Gattu

Maria Gattu (Nuoro, ’43) porta in mostra una sua natura morta, immobile nella sua perfezione, resa con un iperrealismo statico, d’eterna bellezza, mentre sullo sfondo variopinte colorazioni intonate all’uva e al melograno nel cesto di frutta stupisce i visitatori di tanta precisione. Per Maria Gattu la bellezza è proprio nella perfezione della natura in quel momento in cui la realtà raggiunge il suo punto di compiutezza assoluta. I suoi oli su pannello fanno brillare i colori mentre le linee di confine degli elementi rappresentati sembrano composte con un ago e un filo. Avendo lavorato come ricamatrice per molti anni ed ancora praticando quest’arte artigiana, le sue opere pittoriche risultano specchio di quell’attenzione misurata che ha alimentato dentro di sé nel corso della sua vita. Ama rappresentare anche fiori, paesaggi figurativi, scorci antichi come fossero scatti di una macchina fotografica, quasi ingannando la vista di chi li osserva.