venerdì 27 settembre 2019

Simbologie e matamorfosi


“Simbologie e metamorfosi” sarà visibile dal 25 ottobre al 4 novembre 2019 all’interno dello Studio Mitti (Via Alzaia Naviglio Grande 4, Milano)

La simbologia primordiale degli arcani maggiori


Da un’intuizione di Bruno Papalia (Locri, ’66), nascono ventidue arcani maggiori, realizzati con pennarelli colorati su cartoncino: in A3, singolarmente o in un mazzo intero di discrete dimensioni dentro un sacchetto di velluto. Essenziali, neutrali, simbolicamente primordiali, essi colgono il nucleo dell’elemento rappresentato. Il percorso dello sguardo guidato dal disegno e letteralmente dalle parole ad esso abbinate è un viaggio dentro se stessi, nell’anima, nel cuore. «Ogni carta è nata in ordine sparso nel momento in cui l’ho creata. – racconta Bruno Papalia, pranoterapeuta ed artista – La prima carta che ho sentito di dover realizzare è stata l’eremita; è diverso da tutti gli eremiti che trovi in giro, come del resto tutto il mazzo di carte si distingue dagli altri in circolazione. Il mio desiderio era quello di tornare all’origine del principio poiché il messaggio ha più forza nella sua manifestazione. Oltre al disegno, scrivo una frase che ne raccoglie il senso e il significato.» Del resto, anche dentro di noi risiede un nocciolo che specifica la nostra natura di individuo, un nucleo che non cambia nel corso del tempo, ma che può essere solo occultato o portato fuori, esprimendo il nostro sé più vero. Sibillini, i suoi tarocchi possono essere sfogliati come fossero le pagine di un libro che si prefiggono di riferirci di cosa in quel momento necessitiamo. «”L’Eremita” è ricerca, volontà di andare verso lo spirito, di trovare una propria individualità, una spiritualità. – spiega Bruno – “La ruota della Fortuna” è ciò che noi abbiamo la forza di realizzare, perché ogni cosa dipende dalla nostra azione; “La Stella” rappresenta la forza femminile, generatrice. Nel disegno si notano due anfore, una delle quali sembra che versi dell’acqua e l’altra che la prenda, poiché vi è uno scambio equilibrato di energie tra l’esterno e l’interno.» Nella carta degli “Innamorati” si distinguono due figure che paiono entrambe femminili: Bruno Papalia ha cercato di esprimere la potenza creatrice della donna che si sprigiona in tutto, non solo nell’amore. Il sole che spicca in alto è come una benedizione del cielo, un’apertura verso il divino.   

L’inconscio pittorico di Laura Martucci


Laura Martucci (Roma ’82) ci presenta le sue opere a tecnica mista che tendono al mistero, al sogno, come viaggi onirici nella nebbia, una serie che fa parte di una sua ricerca personale. Nonostante la maggior parte delle opere di questo ciclo siano state realizzate con colori scuri, ne compare una in particolare dove la luce gioca con le ombre e nel contempo l’astratto si affianca al figurativo, come se in questo lavoro opera si vedesse il suo percorso dirigersi verso nuove sperimentazioni di stile: una porta, un confine tra due mondi interiori. Da questo dipinto che prende spunto sia dal periodo cubista che da quello surrealista, s’intravede anche quel senso dell’oscuro dove nascono le paure, le angosce dell’uomo e dove dormono gli scheletri che ci appartengono. «Dal contrasto che emerge dal sorgere della luce e le figure poste nell’ombra si coglie la speranza, la gioia da una parte e dall’altra il sentimento della perdita della fede, le ferite delle persone che ci dovrebbero amare, l’abbandono, quella crepa che si forma nel dolore della propria intimità. – racconta l’artista - Come se ci si guardasse allo specchio e ci si vedesse deformati! Ed allora… un angelo si perde tra le lacrime…» Sul filone di quelle di Odilon Redon, le altre opere catturano l’attenzione per il loro messaggio introspettivo dove ai fini di una corretta comprensione, la simbologia gioca un ruolo privilegiato, nell’associarsi di più immagini: teste, corpi sconosciuti, figure di animale si sporgono dalla tela per comunicarci una verità. «Il nostro viso è come una maschera e se una persona vuole riesce a nascondere quello che c’è dentro. Un viso sorride ma magari sta bruciando internamente. – spiega Laura – Le ombre malvagie che ci seguono, sono coloro che ci hanno fatto del male. Il coniglio rappresenta il tempo che passa e s’ispira ad “Alice nel paese delle meraviglie”; il corvo la morte. La donna sono io stessa, nella mia incompletezza, lungo una ricerca costante.»

Dal 25 ottobre al 4 novembre 2019
Inaugurazione 25 ottobre, dalle 18.30
A cura di Valentina Cavera
Studio Mitti
Via Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Orari galleria: Da lunedì a sabato dalle 15.30 alle 20.30
Domenica e Festivi dalle 10.00 alle 20.30


giovedì 26 settembre 2019

VISIONI INTIME E DELLA TERRA

Dal 22 al 30 ottobre, “Visioni intime e della terra” sarà visibile all’interno della Casa delle artiste (Via Magolfa 32). 
“Visioni intime e della terra”incoraggia il visitatore ad esplorare la propria anima osservando il lavoro sull’emotività svolto Da Laura MartucciAngela Leopatrie nello stesso tempo ad osservare ciò che di vero traspare sul pianeta, poiché con esso scopriamo la bellezza che risiede in noi: la naturalezza, l’armonia perfetta che ci accomuna al creato. La pittura botanica di Angela PetriniMaria LombardiCarla Pucci da Filicajae quella naturalista di Angelo Spezialecatturano in un lampo di eternale presente la perfezione data dalle piante, dagli insetti, dagli animali che sorreggono, come fossero basamenti architettonici, l’intera struttura della terra, l’habitat dove gli esseri umani hanno creato la storia e realizzano il futuro. Con le sculture di Giuseppe Morenatocchiamo la materia, sostiamo al confine tra l’uomo e la natura, per sentirsi un tutt’uno con essa. 
Le luminose colorazioni emotive di Laura Martucci.
Con Laura Martucci (Roma ’82) ci si avventura nella propria interiorità attraverso quei ritratti che mirano all’anima. Di luce, di colore, tra quei numerosi specchi geometrici che compongono la fisicità dei personaggi. Ci sono dei momenti in cui la felicità dell’individuo si fa viva ed allora tutto il corpo partecipa, vestito dalle luci dell’emozione, dai colori di festa. Dinanzi alle sue strutture si evince che attraverso il proprio corpo l’uomo si esprime ed osservando il suo modo di esprimersi si prova un sentimento. Dopo un attento studio sulle forme e sulle tonalità che evocano la felicità, la positività, nasce questo ciclo di pitturedi Laura Martucci. «I colori accesi accendono l’anima; è come se ti mostrassero la via giusta, ti trasmettessero serenità, speranza…vita. – spiega Laura - L’unione di alcuni colori crea la perfezione.»Così la donna sdraiata sulla coperta comunica il suo benessere, durante quel processo di scomposizione e combinazione di figure geometriche. Nella densità dei volumi, variopinti dalla selezione accurata di determinate colorazioni, si capta la gioia. «Sono momenti brevi ma ciò accade: quando ci sentiamo amate, quando vediamo positività nella nostra vita, nei momenti felici…  - racconta Laura - quando godiamo dei piccoli momenti.»
Si nota tra la maggior parte dei lavori di natura cubista, un ‘opera dove si annida la creatività surrealista, anche se ai margini, come fosse un richiamo al filone precedentemente descritto, le impronte del medesimo stile creano un’armonia totalizzante: una testa, priva di corpo, ad occhi chiusi immerso nella luce, vive il suo momento di beatitudine. Triangoli, rettangoli, quadrati, archi, si dividono lo spazio mentre la parte figurativa predomina. Un occhio poco distante si apre alla coscienza, mentre il mare si lascia ascoltare in lontananza.
Le Pitture di Laura Martucci sottoforma di luminose apparizioni si oppongono a quelle in mostra all’interno dello Studio Mitti (Via Alzaia Naviglio Grande 4), dal 25 ottobre fino al 4 novembre, in cui l’oscurità e l’onirico sono i protagonisti.   
Angela Leopatri, traduttrice d’emozioni   
Angela Leopatri(Milano, ‘58) con minuziosa attenzione dispone le sue emozioni sulla tela cogliendole nel loro colorato apparire, distinguendo le sfumature che le caratterizzano attraverso la scelta delle forme in differenti composizioni di natura Kandinskiana, trasformando ciò che prova in danza di luce e musica per gli occhi.
«Spesso mi sono soffermata ad osservare lo spazio, la natura o mi sono persa nelle pagine illustrate di un libro d'arte – racconta Angela - Così ho compreso che essere artista è creare emozioni e condividerle».   
Inizia a disegnare sin da bambina tra il profumo degli acrilici. Allora usava la tempera. Quel senso di appagamento e di felicità in quella sua immersione tra i colori l’ha sempre mantenuto vivo. Dopo aver terminato gli studi all’ Accademia d'Arte Cimabue di Milano in giovane età, ha sperimentato nel corso del suo percorso varie tecniche, vari stili. Focalizzandosi sui paesaggi mediterranei ha in seguito introdotto l’astratto nella sua esperienza artistica servendosi di quelle stesse tonalità che intonavano quei paesaggi. Si è imbattuta nel materico, ha unito alle colorazioni le foglie d’oro, ha lavorato con la spatola e con le mani. Sono così nate quelle opere che fanno di lei una traduttrice di emozioni, per esorcizzare i dolori, le paure ed anche allo stesso tempo per festeggiare la gioia, in quella manipolazione costante negli elementi del concreto e di conseguenza dentro se stessa. Vestire la tela del sé è lo scopo del suo lavoro.Dentro le sue opere c’è la vita, in quel gioco di forme e di colori che per un effetto ottico si muovono quasi nello spazio pur rimanendo ferme: tra le forme geometriche si sprigiona un linguaggio senza parole in cui il cerchio con la sua morbidezza visiva protegge, il triangolo con le sue punte ferisce, il quadrato impone razionalità.
Le opere che presenta in mostra hanno per titolo: “Profonda spaccatura”, “Resilienza”,” La passione, l’amore e il desiderio”.
La primaè specchio del suo rapporto difficile con il padre. Rappresenta una sfera divisa a metà con l’impossibilità di ricomporsi: sullo sfondo nero pare essere di cristallo di rocca. La sfera seppur spezzata rimane distesa con un pezzo vicino all’altro poiché un legame di sangue è e rimarrà comunque indissolubile. 
La seconda, in tecnica mista, una fusione di sabbia, olio e acrilico, rappresenta la forza che risiede in ogni donna dopo aver affrontato le varie prove della vita… è allora che si diventa rocce, dure, vigili. Su di uno sfondo oscuro, delle sembianze della pietra lavica, compare un occhio dorato da veggente. Posizionato al centro del dipinto, in prospettiva disposto sotto i vari superfici di forme, come fossero strati di pelle, sembra guardare in tutte le direzioni. 
In“La passione, l’amore e il desiderio”si celebrano i trionfi sentimentali, tra lune di sogni colorate a pastello. 
Angela Petrini e Floraviva
Angela Petrini(Novara, ‘58) è disegnatrice e al contempo Presidente di Floraviva, associazione di pittori botanici italiani nata nel 2004. In primis, lo scopo di questa associazione è di diffondere laconoscenza dell’arte botanicacome strumento attuale a sostegno della difesa del patrimonio vegetale con il quale l’essere umano convive, oltre a promuovere un atteggiamento protettivo, di salvaguardia della natura. Condividere la passione dell’espressione pittorica attraverso i disegni che contemplano ed esaltano le tracce dell’universo impresse sulla terra corrisponde ad approfondire la conoscenza del creato ed anche a godere della sua bellezza. «Il compito del Presidente, oltre a quello rappresentativo, consiste nell’indirizzare e progettare l’attività comune insieme ai componenti del Consiglio Direttivo – spiega Angela Petrini - il che si traduce nello studio di temi da sviluppare nelle esposizioni collettive e nel cercare, preferibilmente nell’ambito pubblico, collaborazione e sedi per le nostre esposizioni, le attività collaterali di insegnamento della tecnica, conferenze e relazioni attinenti all’arte botanica».
Angela Petrini presenta in mostra due acquerelli. Uno su cartoncino ed uno su carta. Entrambi rappresentano varietà di iris. Il primo dipinto s’intitola “Irisalba”e corrisponde a una delle varietà più appariscenti di questo fiore, mentre Il secondo ha come titolo “Iris Jacquesiana”.Quest’ultimo è il ritratto di«un ibrido creato dal francese Jean-Nicolas Lémon già prima del 1839, data in cui lo descrisse. Lémon attribuì il nome Jacquesianaa questa iris in onore di Henri Antoine Jacques – racconta Angela - il capo giardiniere della tenuta reale di Neully.»

Maria Lombardi(Australia, ’61), oggi vicedirettore di Floraviva, fin dai suoi esordi legati alla disciplina artistica ha sempre notato una predilezione interiore verso le forme e i colori del mondo naturale, in particolare dei fiori. Attraverso l’arte botanica che fonde arte e scienza ha potuto manifestare la sua personalità artistica nell’interpretare ciò che il vero manifesta e sprigiona.«Ho un bisogno fisico di essere circondato dalla natura – riferisce Maria Lombardi - mi diletto nella vista del bocciolo che sta per esplodere nella vita o nelle mutevoli tonalità di un fiore che sbiadisce nelle ultime fasi della sua vita». Rapita da ragazza dal lavoro della pittrice e tipografa australianaMargaret Preston e successivamente, una volta trasferitasi in Europa, scoperte le opere di molti pittori botanici del passato come il belga Pierre-Joseph Redouté, o l'incredibile naturalista di origine tedesca e illustratrice scientifica Maria Sybilla Merian, ha trovato il suo sentiero in cui incamminarsi per esprimere se stessa coinvolgendo quante più persone ad un sinceroapprezzamento della natura ed altresì ad aumento della consapevolezza verso essa. Una delle sue opere in mostra è un acquerello intitolato “Silybum marianum, (Cardo mariano)”,che rappresenta, per l’appunto, la pianta spontanea presente nel bacino del Mediterraneo.
«Questa pregiata pianta officinale, di aspetto molto affascinante, è stata usata fin dall’antichità per le sue indiscusse proprietà fitoterapiche. - spiega Maria Lombardi - È una pianta biennale dal fusto eretto, con distintivi fiori riuniti in una infiorescenza a capolino di colore violaceo-purpureoincorniciati da una raggiera di brattee spinoseche si allargano man mano che il fiore inizia ad aprirsi».
“Le storie vegetali” di Carla Pucci da Filicaja
La seduzione esotica delle piante africane perviene ai nostri occhi attraverso i disegni che Carla Pucci da Filicaja(Roma, ’61) ha realizzato durante la sua esperienza a Zanzibar durata diversi anni. “Le sue storie vegetali”s’impregnano delle tonalità di quella terra lontana, che diviene più vicina, meno sconosciuta, grazie al suo sguardo attento e alla sua passione nel viverla.Dietro alla sua pittura botanica i colori e il segno si mescolano con lo studio delle specie vegetali e l’analisi sul campo, con l’emozione nel contemplare la natura che in funzione del tempo muta il suo volto e comunica cose differenti. Poi c’è il canto della natura… «La Natura è melodia, ci sono canti per ogni ora del giorno bisogna solo saper ascoltare ed amare ciò che si fa, solo così si può trasmettere la magia dell’emozione. Questo è per me il senso della pittura botanica – racconta l’artista. – Il “canto dell’Africa” con le sue praterie, le sue piante, gli animali incontrati nel corso di tanti safari in Tanzania mi ha ammaliato, coinvolto mentalmente e fisicamente.»Tra le opere in mostra, acquerelli su carta, si troverà “Garden in Arusha”,fiore di banano,“Jozani”,dove spicca una mangrovia rossa, tra le cui fronde si nota unaJunonia oenone oenone,una farfalla che propende per le ambientazioni umide e fangose e che è golosa del nettare dei fiori. Non lontano si mostra una raganella della famiglia delle Hylidae.In “Safari a Ruaha”,Carla nel rappresentare una Kigelia africanaosservata dal vivo, immagina alla base di un ramo un piccolo camaleonte.Il cocco denominato Nazidai locali, come un’omonima opera dell’artista, è ritratto su carta assieme a parte della sua pianta, la palma da cocco. «Sullo sfondo è rappresentata anche la foglia pennata della palma che i locali chiamano makuti composta da verdi foglioline lanceolate, spesso ingiallite e bruciate dal vento. In questa occasione, qualcuno salì i 30 metri dello stipite della palma e con il machete tagliò cocchi e foglie secche. – spiega la pittrice - Il cocco è stato dipinto all’ombra del patio della mia casa africana, sul tavolo da pranzo, tra granelli di sabbia impalpabili come cipria e minuscoli insetti che riposavano sul mio foglio. Il grande tetto di makuti mi riparava dal sole e dalla luce accecante.» Nella tavola“Sulla spiaggia di Kiwengwa”, Carla ritrae una palma da cocco dalla crescita insolita: «Il fusto della pianta, - scrive l’artista - durante la crescita, aveva assunto un anomalo portamento strisciante. L’evento mi consentì il tempo per il ritratto della bellissima infiorescenza a spadice, normalmente visibile solo dal basso poiché il tipo di palma da cocco presente a Zanzibar ha un’altezza di 20-30 metri».Uno dei suoi sogni si chiama Botarte, il nome di un’ipotetica possibile associazione di artisti con cui condividere la passione per l’arte e l’amore per la natura, anche se per ora risulta essere solo il logo con cui lei si firma. 
Le meraviglie della natura con Angelo Speziale
Con Angelo Speziale[Foligno (PG), ’59] pittore naturalista di professione dal 1988, attraversiamo le meraviglie del creato, tra piante, insetti ed uccelli. Un universo da scoprire che con lui risulterà maggiormente penetrabile.
Sulle sue tavole si muove la vita: si sente crescere, evolversi, tra i colori e profumi, suoni ed ambientazioni. Osservare con gli occhi di un naturalista d’altra parte significa questo, perché oltre al disegno ci sono i suoi racconti a rendere maggiormente suggestivo il percorso. Osservare con i suoi occhi vuol dire attraversare la luce tra i petali e le foglie, giocando con lo sguardo tra le trasparenze per poter definire la carnosità dei soggetti vegetali; attendere con pazienza che la luminosità tocchi in un certo modo l’immagine, produrre schizzi a matita, raccogliendo delle note di colore ed eternizzare ciò che si è visto su una diapositiva sono i punti determinanti verso la realizzazione delle sue creazioni…. Altresì, studiare il comportamento di certi insetti, rimanerne colpiti, carpire il loro linguaggio attraverso segni e movimenti… ascoltare il suono degli uccelli, registrandolo dentro di sé per riconoscerlo successivamente, di volta in volta, sono i passi ulteriori verso una libera progettualità e una veritiera narrazione estetica di un artista di successo. 
«Ciò che m’interessa è riprodurre un racconto; tutte le mie tavole le ambiento. Non ho l’abitudine di riprodurre un soggetto estrapolato dal contesto perché mi piace raccontare anche ciò che c’è intorno; quindi ci possono essere anche altri soggetti di contorno, che di contorno non sono, ma sono magari ausiliari, complementari; oltre al soggetto animale anche il contesto ambientale è importante… la vegetazione… per dare nozione di dove vivono questi animali, che sia un uccello o un insetto. Riprodurre un po’ del loro ambiente è interessante anche dal punto di vista pittorico. Così la tavola sarà più dinamica, meno fissa».
Sin da bambino s’interessa al disegno, dapprima dipingendo casette sulle colline che con disinvoltura dinanzi agli occhi stupiti del suo maestro comparivano già in prospettiva, poi raffigurando precocemente i primi insetti, i bruchi. Dopo la parentesi avuta con immagini oniriche di entità raffigurate dietro alle sbarre, specchio di un’adolescenza introspettiva, ricompare il suo interesse verso gli insetti che poi s’incanala verso la natura tutta. Affina le tecniche pittoriche da autodidatta e approfondisce la sua cultura scientifica sull’argomento, attraverso libri ed escursioni. Sicuramente furono i suoi studi in scienze biologiche la chiave di volta che lo ha iniziato alla professione ma sono state varie le esperienze all’interno delle Università nel corso del tempo che lo hanno reso un esperto nel settore, oltre alla sua accesa passione in materia. 
In mostra presenta due differenti libellulerealizzate in acquerello su cartone, una gialla e nera (ONYCHOGOMPHUS sp), ed un’altra verdastra(SOMATOCHLORA sp). Tra gli insetti le libellule hanno sempre mosso il suo interesse, non solo per la loro bellezza ma per lo specifico comportamento peculiare che dimostrano. «Sono particolari nel mondo della natura perché sono costruite quasi come delle macchine da predazione. – spiega Speziale - Io le paragono a delle piccole tigri. Ci sono libellule che fanno predazioni d’agguato come farebbe un leopardo, oppure corrono come se fossero ghepardi».
Un'altra libellula, a matita colorata su carta, si nota in uno dei suoi disegni più complessi, adagiata su una ninfea gialla, nelle vicinanze di una rana verde; poi si susseguono, tra le raffigurazioni più articolate, Funghi Coprini con Fringuelli” in matita di grafite su carta e “Cappero”,un acquerello su carta. Tra le più semplici, invece, sboccia Boccioli di rosa graham thomas”, a matita colorata su cartae si manifesta “Ramo di pero Williams max red barlett”,un acquerello su cartone, che colti nella loro semplicità e limpida perfezione sono paragonabili a poesie visive. 
Pino Morena, lo scultore cacciatore di anime nella materia
Pino Morena, (Reggio Calabria, ’59), con le sue sculture lignee dà una seconda vita a quei materiali naufraghi, destinati a morire che provengono dai fiumi, dai torrenti, dal mare. Recuperati sulle spiagge, già levigati dalla forza dell’acqua, dalle onde, vengono ulteriormente lavorati dallo scultore che usando differenti tecniche ne stilizza la forma e ne contraddistingue la colorazione. In quanto cacciatore di anime nella materia, Morena sceglie i pezzi da lavorare in base ad una sua ricerca, che lo spinge attraverso la sua sensibilità a portare alla luce ciò che già respira nell’elemento selezionato. Ogni pezzo di legno porta con sé una determinata storia che l’occhio esterno ha modo di risvegliare con l’attenzione nel dettaglio; pare si possa scorgere l’anima dell’oggetto nei segni inferti sulla materia. Ogni suo lavoro sembra diventare confine tra uomo e natura,dove l’uomo una volta arrivato a questo confine, toccando il corpo in questione ed abbracciandolo si senta parte di essa… le sue creazioni sembrano volti in cui l’uomo ha impresso il suo passaggio dentro quel confine per annullare la distanza tra la natura e lui medesimo.
«La scultura in se stessa è la dimostrazione che io raccolgo un materiale che è destinato e a non essere utile; facendo una scultura gli dò vita… - Racconta Morena - un risvegliare la natura che sta morendo: se t’imbatti in legni e in radici che non sono più al loro posto originario, come accade in conseguenza di incendi o alluvioni, allora in un certo senso faccio rivivere ciò che è già disperso, slegato dalla sua fonte. Tutto questo dà un’emozione a chi la vede che fa riflettere su ciò che sta accadendo attorno a noi».
Lavorate con le sgorbie, scalpellini dalle varie forme, di varie misure, concave o a rondine, le sue sculture vengono trattate successivamente con delle cere o degli impregnanti, i quali regalan loro una vita più longeva e danno risalto alle venature. Scolpisce i suoi legni fino a sentirli vivi, duri, privi di alghe o residui inopportuni; legni che variano per tipologia… da quello di vite a quello di ulivo,alle radici stesse… fino ad accompagnarli con altri materiali, se è il caso, come la pietra quando, per esempio, è già incastonata nell’elemento prescelto. Con una tecnica personale, utilizzando le candele o i timbri a fuoco, riesce a dare un colore differente al pezzo concreto, dando delle sensazioni chiaro-scure. Il prodotto poi ulteriormente strofinato con carta vetrata o spazzole metalliche appare quasi un materiale differente dal legno. 

Visioni intime e della Terra
Inaugurazione 22 ottobre2019 ore 18.30
Fino al 30 ottobre2019
Casa delle artiste
Via Magolfa 32, Milano
A Cura di Valentina Cavera
Musica di Gabriele Losavio: “The sound of nature”.

Orari di apertura:
Martedì: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00
Mercoledì: dalle 10.00 alle 22.00
Giovedì: dalle 13.00 alle 20.00
Venerdì: dalle 17.00 alle 20.00
Sabato, Domenica: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00





mercoledì 31 luglio 2019

Trame di vita in una collettiva a due piani


Dal 10 al 22 settembre all’interno della Casa delle Artiste avrà luogo l’esposizione “Trame di vita in una collettiva a due piani”, a cura di Valentina Cavera, durante la quale Rosachiara Carletto, Germano Casone, Patrizia Silingardi, Marina Pozzi, Loredana Caretti, Amos Loffreda proporranno il loro lavoro.
Proprio come se realmente ognuno di questi artisti vi abitasse dentro, si svilupperà una relazione degli uni con gli altri, mentre le loro opere racconteranno le loro storie espresse attraverso l’arte pittorica o scultorea nel caso di Germano Casone.  




Germano Casone [Villa Biscossi (PV), ‘47] attraverso le sue sculture di creta è come se desse voce ai bambini di tutto il mondo, partendo innanzi tutto dal bambino dentro di sé. Di cosa hanno bisogno i bambini d’oggi per crescere e diventare adulti in modo corretto? Come è fatto il loro presente? E un ipotetico paese dei bambini potrebbe esistere? I suoi bambini sono immersi nel sapere, cavalcano la fantasia su uno spicchio di luna, si affacciano dalle finestre di un borgo dove vige la semplicità.
A lavoro concluso, Casone si sofferma molto sulla ricerca del titolo più appropriato, poiché in esso si svela il legame con la realtà, ovvero il concetto che cerca di esprimere nell’atto creativo, la sua filosofia di vita che traspare dalle sue opere scultoree. Lavora molto sulla natura dei bambini, sui loro passi verso il futuro. «Il futuro è loro. Gliel’abbiamo rovinato molto però noi grandi, anche se gli abbiamo dato una vita agiata – racconta Casone - è il sistema che va ricostruito per poter gioire di questa vita. L’istruzione, la cultura sono necessari. Oggi possediamo i computer ma pur essendo un grande salto evolutivo, ci si è allontanati dalla lettura. In primis i più giovani.» ”Un bimbo che legge sarà un adulto che pensa” è un lavoro che vede protagonista un bambino intento nella lettura, in cima a dei libri impilati gli uni sugli altri, mentre un adulto lo osserva con sguardo pensoso. In “La cultura va sostenuta con forza” si legge la precarietà d’essa, in quel gesto disperato di un uomo dinanzi ad una torre di testi sovrapposti che rischia di cadere, mentre alla sua sommità un bambino è preso dal suo libro. “Compagni di scuola” vede alcuni studenti sfogliare un medesimo gigantesco libro, un inno all’istruzione.
 
Il fascino derivato di Amos Loffreda 


Le immagini femminili di Amos Loffreda (Chioggia,’62) sono una ricerca pittorica che mira alla rappresentazione della personalità del soggetto. Nel corso della sua carriera ha sperimentato la riproduzione di nature morte, ha interpretato la realtà in forma di astrazione ma la sua ricerca poi si è soffermata sul ritratto. D’altra parte Amos nasce come fotografo, quindi ha sempre lavorato con l’immagine. Successivamente, il passaggio alla pittura è stato determinato da alcune produzioni che coinvolgevano la pittura su elementi fotografici, finché l’elaborazione dei soli colori sulla tela è diventato una realtà costante.
Il pavoneggiare delle sue donne, attraverso le chiome o gli abiti multicolori, emana tutto il fascino femminile. Non è un imitare la bellezza ma i soggetti che spesso cerca su internet sono persone che gli provocano un’emozione, da cui estrapolare l’essenza che le contraddistingue. Gli studi portati avanti a Venezia e gli approfondimenti sul disegno dal vero dinanzi alle modelle hanno influenzato la sua creatività e si sono concretizzati nei disegni che propone nel contemporaneo. Il gioco di colori che si condensa in piccoli interventi riprodotti ripetutamente attorno ai volti delle donne sono il suo modo di divagare nei percorsi dell’arte, per rendere le sue opere esclusive. «Ho approfondito il discorso sul mosaico e l’ho voluto riportare sui quadri attraverso parti di carte colorate selezionate e recuperate in una stamperia a Bassano. Successivamente aggiunta una resina particolare, abbino questa tecnica al disegno vero e proprio realizzato con olio su tela.» In un suo dipinto spicca una donna con in mano un piccolo volatile, esso s’intitola “Zeus che seduce Era”, rappresenta quindi un’immagine mitologica. La leggenda vuole che Zeus nel momento in cui entrò al potere, era deciso a prendere moglie. Essendo Era, sua sorella, di venerabile bellezza pensò a lei. Purtroppo la Dea era inavvicinabile, sempre controllata dalle serve; così dovette attendere il momento giusto. Il giorno che la vide entrare nel bosco si tramutò in un uccellino e quando lei lo raccolse dal terreno, lui si rivelò nelle sembianze di un baldo giovane, come in effetti era, e così anche ella se ne innamorò. “A Prisca” è un’opera che vede per protagonista una bambina nota nel suo paese che morì in tenera età. Lui la raffigura mentre insegue un cardellino, perché quell’uccellino nell’antichità era simbolo del trapasso dell’anima.
Amos Loffreda è molto legato alla sua terra, per questo dipinge anche su un legno spiaggiato che raccoglie attorno all’isola su cui abita.




L’universo temporale di Rosachiara Carletto [Lonigo (VC) ‘56] si esprime attraverso i colori e la prospettiva con cui è costruita l’immagine del paesaggio. Il presente, il passato e il futuro sono impronta di cromatismi sensibili. Grazie all’uso della spatola i suoi oli su tela nascondono il dettaglio per guidare lo sguardo verso l’oggetto rappresentato affinché l’emozione, nell’impatto visivo, sia preponderante. I colori, l’armonia tra essi, il loro elaborarsi strutturalmente, in Rosachiara, sono come sogni ad occhi aperti. «A volte quando sogni vedi delle cose poco definite, intravedi qualcosa ma non si capisce cos’è – racconta Rosachiara - la mia ricerca mira a quel qualcosa di soffuso.»
Le tematiche che affronta nei suoi dipinti ruotano attorno a elementi fissi da cui si originano versioni differenti di un argomento. Uno di essi è l’atmosfera o l’estate che vengono personificati sempre da un soggetto paesaggistico. Spesso è un paesaggio solitario dove sorgono isole, tra virgolette, in cui rifugiarsi, come nel caso di “isolotti come smeraldo”, “le atmosfere”, “la luna bussò”; altre volte quando sembra che l’artista ingrandisca il soggetto paesaggistico come con una lente di ingrandimento, le tonalità danno il senso di un’emozione più concreata, quasi tangibile. La realtà del particolare infatti rappresentata nell’”Estate” sembra quasi esserci vicina, nel presente. I suoi lavori si intrecciano con la temporalità dell’essere umano: quando coglie il soggetto da lontano dà un’impronta al tempo nel suo perdersi tra i giorni del quotidiano in vista di un futuro sperato, quando lo svela da vicino ci fa toccare il presente, frutto, nel suo caso, di un passato felice. «I soggetti che io dipingo passano sicuramente attraverso il mio vissuto, la natura in genere mi ha sempre affascinato. Ho sempre vissuto in paesini di campagna dove lo sguardo si perde nel verde, dove il rumore del vento è come una melodia e dove io spesso mi ritrovo assorta, con gli occhi socchiusi per cogliere le sfumature di uno scorcio e ad ascoltare il silenzio. – ci confida Rosachiara - Le mie marine “Atmosfere” sono nate un po' dalla mia passione per la laguna, per il delta del po', un po’ per la ricerca di qualcosa di infinito».

Le monocromatiche personalità di Marina Pozzi




Marina Pozzi [Limbiate, (Mi) ’60] conduce gli ospiti dinanzi a differenti soggetti che abitano nella sua interiorità, essendo parti di una sua biografia personale, legata a desideri, all’infanzia, all’ inconscio, al suo voler rivoluzionare la società che la circonda. Ogni persona è vestita di colore, in un gioco monocromatico che fa risaltare simbolicamente il proprio carattere. Il colore in Marina Pozzi è emozione, presenza attiva, potere d’essere. Utilizzando vari materiali e numerose tecniche pittoriche realizza questi ritratti. Ognuno di essi si esprime attraverso il colore, il segno, con cui traspare dalla materia e mediante una simbologia di elementi con cui viene presentato dall’artista. “Maternità”, in acrilico su cartoncino blu, raffigura una madre che allatta uno dei suoi due piccoli, entrambi vicini. I tratti dei loro corpi e dei loro visi sono decisi: la purezza del bianco si mescola al blu, ovvero alla profondità della vita. «Ho tracciato la maternità - spiega Marina - quella maternità tanto sognata, un passaggio quasi obbligatorio nella nostra società, che non potrà mai essere una condizione possibile per me a causa di un problema intimo. Un passaggio importante è stato trasferire l’atto creativo dai figli che avrei voluto ai miei dipinti, alla creatività artistica.» Quella bambina con il cappello, di colori scuri in acquerello, rappresenta lei stessa da piccina che nel corso del tempo le è rimasta dentro nonostante la durezza della vita l’abbia costretta a crearsi una spessa corazza e l’abbia schiacciata dal peso delle difficoltà. “La donna con l’orecchino di perla” rappresenta la gentilezza, l’eleganza, quelle qualità che lei possiede e che si aspetta di vedere anche nelle altre sue simili ma che, oggi come oggi, nota invece quanto si siano affievolite vorticosamente per quella pazza corsa di omologazione all’uomo... E poi compare “L’indiano” d’ acrilico rosso, avvolto da una nuvola di una tonalità più intensa, per esaltarne maggiormente la grinta. Una grinta che Marina Pozzi ha e che incarna la sua mascolinità: «L’indiano è la forza del guerriero.»

Il disegno libero di Patrizia Silingardi 


Il segno distintivo di Patrizia Silingardi (Modena, ’59) si concretizza da una parte nelle sue proposte di rappresentazione oggettuale su differenti piani materici, dall’altro nel suo muoversi agilmente tra tecniche artistiche anche distanti tra loro, come la pittura e il ricamo: acquerello giapponese su veline giapponesi oppure su tele di lino antiche, tecniche miste con acquerello giapponese dipinto su pannelli lavorati a scrostature, simili a vecchi muri… acquerello giapponese dipinto su tele con colori per stoffe. La femminilità, la delicatezza, la pulizia del gesto creativo dona alle sue opere, colte nella loro essenzialità, una purezza di significato. Questo suo modo di fare e intendere l’arte la lega sicuramente all’oriente, alla filosofia che caratterizza questo paese lontano: una scoperta avvenuta a posteriori, lungo il suo percorso di ricerca.
Contraria ai gesti ripetitivi, alla monotonia dettata dalla pittura convenzionale, come quella realizzata con l’olio, la tempera su tela o il classico acquerello, ha cominciato ad appassionarsi, una volta conosciuto, all’acquerello giapponese. «Il fatto di non disegnare niente, di andare assolutamente a mano libera, di lasciare che l'acqua e il colore facciano un po' da padroni, anche se in verità è poi sempre l’artista artefice del prodotto finale, mi ha fatto pensare “ecco questa è la mia pittura”.» La libertà totale di essere nella materia, l’armonia tra il pennello e l’oggetto che si nasconde nell’elemento sul quale il colore si adopera, in Patrizia è come uno svelare il già nato! I suoi fiori navigano in colori d’emozione ed al contempo diventano decorazioni attraverso l’ago e il filo, un esercizio di precisione, che diventa quasi una meditazione, dove i pensieri si perdono tra un petalo e l’altro.

Sperimentazioni di Loredana Caretti



Loredana Caretti (Milano, ’50) inizialmente attraversa i sentieri dell’arte per mano di un pittore lombardo, Aldo Sterchele, grazie al quale sperimenta differenti tecniche. Successivamente, interiorizzando il linguaggio di rappresentazione si muove su diversi piani di ricerca: dal paesaggio alle nature morte fino ad arrivare al ritratto, ad ambientazioni abitate. Da una parte, tratta la natura morta con allegria, usando colori che rendono la tavola felice, di buona compagnia, mentre quando sceglie altri tipi di soggetti li capta in atmosfere particolari… silenziose, raccolte, intime, in colori malinconici, slavati o perfino oscuri.
La sua meta è forse cogliere gli individui intenti in dialoghi quasi segreti e nello stesso tempo svelare il rapporto che vive dentro noi stessi, in quell’incessante evoluzione interiore, come nell’opera che raffigura due donne con i capelli neri. Ritraggono rispettivamente il pudore e la vanità ed in realtà sono la stessa persona ma rappresentata in due momenti diversi della crescita.
Osservando i suoi lavori, si respira un’atmosfera di intimità tra persone affini sotto degli ombrelli o all’interno di una sala tra donne…e poi nasce quel paesaggio con i rami spogli: dove tutto sembra spogliato dell’avere fa intravedere l’essere. Nell’apparire di questa nudità paesaggistica s’intravede l’anima del mondo.
Il mare appare vivace, testimone di un trascorso felice. «Ho introdotto nel dipinto una rete vera e propria, me l’ha data un pescatore del mare di Cesenatico. Esce dalla barca disegnata. L’opera l’ho realizzata pensando ai miei due nipoti. Infatti i nomi incisi sulla barca, sono proprio i loro, Marco e Michelle. Noi ci divertiamo nell’acqua. Ho cominciato a colorarla con la tempera e poi con la spatola ho agito sulla tempera e così sono nati dei riflessi che non potevo immaginare. L’ho coperta con la damar e l’ho ripassata infine con i colori ad olio, però quei riflessi nati per caso sono rimasti.»


Esposizione Collettiva
Casa delle artiste
Via Magolfa, 32, 20143 Milano MI
Dal 10 al 22 settembre 2019
Inaugurazione 10 settembre, dalle 18.30
A cura di Valentina Cavera





lunedì 27 maggio 2019

Sulla Fotografia


Sulla Fotografia è una collettiva, il viaggio di tre artisti nella fotografia: Subimal, Johnny Pixel e Esther Sadré. Dal 28 maggio 2019 al 2 Giugno 2019, allo Studio Mitti (Alzaia Naviglio Grande 4).

L’occhio dell’invisibile

Le rivelazioni fotografiche di Subimal


Gli scatti in bianco e nero di Alfredo De Joannon in arte Subimal (Milano, ’66) conducono lo sguardo del visitatore lungo le strade delle città, da una parte puntando l’obiettivo su soggetti architettonici ben precisi, dall’altra divenendo specchio del rituale passaggio del quotidiano in veste di street photography.
Una selezione d’immagini della sua retrospettiva per riuscire a carpire la meta a cui mira questo artista lombardo che, ispirandosi alle città invisibili di Calvino, da voce alle rappresentazioni in potenza mettendo in atto ciò che la realtà desidera rendere manifesto. Il fotografo come del resto sosteneva lo statunitense Ansel Easton Adams, diviene cacciatore d’immagini, strumento, che solo nel momento dello sviluppo sa farsi creatore, costruendo una poetica.
A differenza di autori come Henri Cartier-Bresson per il qualeLe fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”, e di quelli come André Kertész che utilizzano lo still-life per sospendere il tempo, Subimal concepisce questa forma d’arte come estensione di una disciplina spirituale che pratica, come contemplazione, rivelazione di una intuizione anteriore allo scatto. A tal proposito Subimal ricorda le parole di Sri Chinmoy, suo Maestro di meditazione riguardo l’arte fotografica: «La realtà interiore può essere visibile sul volto della realtà esteriore. La profondità interiore può essere sentita da un cuore umano. Ogni foto se scattata da un elevato piano di coscienza, rivela una nuova speranza, una nuova aspirazione e una nuova realizzazione, che la Madre Terra custodirà e tesoreggerà».

Astrazioni urbane di Johnny Pixel 


Le “Astrazioni urbane” nascono di notte sotto la pioggia, mentre la vivacità della città tra luci, riflessi e suoni non smette mai di prendere corpo: da Melchiorre Gioia a San Babila, dalla Triennale a Piazza Gae Aulenti, passando per Centrale e Garibaldi…
Queste opere fotografiche sono il risultato delle passeggiate solitarie di Johnny Pixel  (Milano, 1976), fotografo e artista, mentre si avventura all’interno del territorio milanese, tra le sue strade e i suoi angoli, tra palazzi e fontane, scorci e vedute: un modo nuovo di conoscere la realtà poiché nonostante essa sia fonte d’ispirazione e parte dell’opera stessa, è nello stesso tempo trascesa e rifuggita.
Come farebbe un pittore astrattista, Johnny Pixel prende spunto da un’impressione o un’emozione suscitata dagli oggetti del reale per comporre le sue immagini, ma essendo un fotografo si serve proprio del vero per poi disgregare parte del visivo, creando un miscuglio di verità e sogno, attraverso l’astrazione; quest’ultima per lui è un modo per rappresentare l’interpretazione interiore di ciò che appare agli occhi.
Lavorando con la macchina fotografica sul campo di ricerca ed interagendo con la sua energia creativa dà vita ad altre forme e colorazioni così da allargare la conoscenza del mondo stesso, valorizzando le capacità intuitive e fantastiche dell’uomo: l’uomo che crea e l’uomo che osserva, poiché nell’osservazione nasceranno ex novo emozioni e sensazioni, differenti da quelle pensate dall’ideatore dell’oggetto immaginato. Così come scriveva Licini nel 1935 riflettendo sull’astrattismo, “Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento”, con Johnny Pixel le architetture della città vestite dalle sue atmosfere surreali comunicano con l’io interiore.
«Quello che amo della fotografia è la possibilità, tramite essa, di poter mostrare al mondo scorci di se stesso colti da un personale punto di vista – racconta Johnny Pixel - ed anche, poter trasmettere ad una persona uno stato quasi inconscio di visione.»
Fotografare la città da prospettive particolari, rendendo macro ciò che è vicino, falsificando la visione di ciò che si proietta sullo sfondo è come ergere un ponte tra l’infinito e il finito, tra realtà e misticismo, tanto da sentirsi leggeri e liberi come una foglia al vento che non cessa di esistere nemmeno se strappata da un ramo. 

L’album fotografico di Esther Sadré


Osservando le opere Pop di Esther Sadré, (Modena, ’48) si vivrà un ritorno all’infanzia, oltre che l’amore al femminile in tutte le sue vesti. Collage realizzati con piccoli cammei e pietre, stoffe e lingue di pizzo, scampoli di tessuto ritagliati e incollati su tela, mentre immagini di donne, vere e proprie icone di bellezza, sono adagiate sulla tela a figurazione di un eterno presente.
Produzioni artistiche colte che s’ispirano alla storia dell’arte, a film e libri di cultura generale fanno comparire personaggi come la famosa ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer che a sua volta ha ispirato la scrittrice Tracy Chevalier nel suo romanzo omonimo … e poi Frida Kahlo, Marilyn Monroe e volti cinematografici come quello della Cavalieri, preziosa musa di Fornasetti. Del periodo vittoriano Esther coglie lo sguardo di dolcezza, la semplicità e l’abbandono tacito alla vita dei bambini del tempo, che come anche descrive Charles Dickens nei suoi scritti, vivono in un limbo di fragilità, dove la povertà e la trascuratezza rende tutto alquanto difficile.
Nel loro insieme i quadretti messi a punto da questa artista modenese prendono le sembianze di un album fotografico dove ogni singola immagine è delineata da una cornice in cui appaiono simboli di tenerezza e rosee apparizioni.

Inaugurazione 28 maggio 2019
Dalle 18.30
Fino al 2 giugno 2019
A cura di Valentina Cavera
Studio Mitti
Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Orari: dalle 15.30 alle 20.00